Nota dell’8 marzo 2020.
Oggi viene a cadere — quasi come una “profanazione” della domenica — la cosiddetta “festa della donna”, completamente inventata, come ha dimostrato Vittorio Messori con dati storici inoppugnabili (in Pensare la storia, Paoline, Cinisello Balsamo 1992, pagg. 107-108).
Come tutti gli anni ci sarà propinata la consueta retorica femminista “lesbico-genderista”, “transgender” eccetera: come “antidoto” riproponiamo uno studio sull’amore coniugale nel Magistero, di Laura Boccenti, insegnante liceale di filosofia, e, soprattutto, moglie, madre di quattro figli e nonna di cinque nipoti.
Laura Boccenti, Cristianità n. 396 (2019)
Intervento pronunciato al convegno su «Humanae Vitae». Un faro per l’amore vero, tenutosi il 13 ottobre 2018 nella Sala Quadrivium di Genova. L’iniziativa è stata organizzata e patrocinata da Forum Ligure delle Associazioni Familiari, Confederazione Italiana Regolazione Naturale Fertilità, Centro Aiuto alla Vita, Movimento per la Vita, Difendere la Vita con Maria, Alleanza Cattolica, Santuario di Arenzano e arcidiocesi di Genova.
Etica sociale, etica della famiglia da «Humanae vitae» ad «Amoris laetitia»
Il tema della vita e della famiglia è stato oggetto di un progressivo approfondimento del magistero della Chiesa, sia dal punto di vista teologico sia dal punto di vista pastorale.
La dottrina cristiana sull’indissolubilità del matrimonio e sulla procreazione responsabile è stata recepita con una certa difficoltà dalla società umana fin dall’inizio. Ne è prova l’obiezione degli stessi discepoli che, di fronte all’insegnamento di Gesù sull’adulterio, osservano: «se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi» (Mt. 19, 10).
Ma è a partire soprattutto dalla Rivoluzione francese, con la diffusione di un clima culturale e sociale ostile alla Chiesa, che la ricezione del messaggio cristiano sulla vita e sulla famiglia non deve più confrontarsi solo con la difficoltà a realizzare nella vita concreta la piena verità sul matrimonio, ma anche con un’ostilità culturale crescente, che mette in discussione la verità e il valore della proposta cristiana.
Gli interventi del magistero a partire da Papa Pio VI (1775-1799) si erano concentrati sulla difesa dell’indissolubilità del matrimonio.
Leone XIII (1878-1903), con l’enciclica Arcanum divinae sapientiae, del 1880, aveva presentato in modo organico la dottrina sul matrimonio e formulato le indicazioni che confluiranno poi nel Codice di diritto canonico del 1917, che, al canone 1013 §1, formulava la dottrina classica dei due fini del matrimonio: «Il fine primario del matrimonio è la procreazione e l’educazione della prole; il fine secondario è il mutuo aiuto e il rimedio della concupiscenza».
La dottrina sui due fini del matrimonio era stata ripresa da Pio XI (1922-1939) nell’enciclica Casti Connubi, del 31 dicembre 1930 — che insisteva sulla procreazione come fine primario del matrimonio e condannava di conseguenza qualsiasi prassi contraccettiva — e dal venerabile Pio XII (1939-1958).
Nel 1958, il dibattito sulla regolazione delle nascite si complica con l’invenzione della pillola ormonale anticoncezionale da parte di Gregory Pincus (1903-1967), che influenzerà la riflessione ecclesiale e teologica proprio negli anni immediatamente precedenti il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965).
Questo è in sintesi lo scenario in cui nel 1963 si avviano i lavori della Commissione incaricata da san Giovanni XXIII (1958-1963) di studiare il Birth Control per fornire gli elementi d’informazione sulle questioni riguardanti la vita coniugale e la retta regolazione della natalità.
Il lavoro della Commissione per un certo periodo si svolgerà parallelamente al lavoro preparatorio sulla Costituzione pastorale Gaudium et spes sulla condizione della Chiesa nel mondo contemporaneo e risentirà anche della dialettica manifestatasi nella discussione sul XVII schema preparatorio — là dove si occupava del matrimonio — fra il teologo morale Bernhard Häring CSSR (1912-1998) e il cardinale Alfredo Ottaviani (1890-1979), intervenuto per evitare che il testo dello schema contenesse qualsiasi accenno di distanza dalla dottrina tradizionale del primato del fine procreativo (1).
L’aspetto più problematico della discussione riguardava il criterio su cui la Chiesa si fondava per articolare i suoi giudizi sulle vicende del mondo e della società, cioè il valore universale della legge naturale (2). Le nuove piste di riflessione sulla questione della regolazione delle nascite sembravano infatti entrare in contrasto con l’insegnamento del magistero sulla legge naturale, che si richiamava a una ragionevolezza condivisa da tutti gli uomini.
Sta di fatto che, in seguito a queste vicende, san Paolo VI (1963-1978) decise di rimettere mano alla composizione della Commissione di studio e anche di riservare a sé l’esame della dottrina sulla regolazione delle nascite. Tale decisione verrà annunciata al Concilio il 23 ottobre 1964.
Il Pontefice non voleva che l’incertezza emersa dalle discussioni «[…] sulla valutazione etica dei metodi di regolazione delle nascite generasse un clima di scontro polemico e divisioni in Concilio» (3).
La Costituzione pastorale Gaudium et spes viene approvata il 7 dicembre 1965. Essa propone alcune istanze fondamentali sul matrimonio: viene sottolineato come esso sia uno stato di vita, una vocazione e una via alla santità e alla mutua donazione degli sposi, letta come immagine del dono di Cristo alla Chiesa.
La prospettiva di Gaudium et spes avrebbe aiutato la riflessione sulla paternità responsabile e la sua interpretazione come valore positivo da perseguire — coerentemente all’affermazione della dignità della persona umana e la sua responsabilità — piuttosto che come elemento in potenziale contrasto con la dottrina cattolica.
Nel giugno 1966 la Commissione conclude i lavori, senza riuscire a raggiungere un consenso unanime e consegna così al Papa due relazioni: la prima, firmata dalla maggioranza, ammetteva come lecita la «regolazione delle nascite mediante il ricorso a mezzi, umani e onesti, ordinati alla promozione della fecondità in tutta la vita matrimoniale nel suo insieme e alla realizzazione degli autentici valori della comunità coniugale feconda», in altri termini ammetteva, a certe condizioni, le pratiche anticoncezionali; la seconda, di minoranza, chiedeva invece al Papa di confermare la dottrina tradizionale e di condannare nel modo più fermo qualunque forma di contraccezione.
L’enciclica Humanae vitae, firmata da san Paolo VI il 25 luglio 1968, prende posizione sulla domanda che aveva dato originariamente il via al lavoro della Commissione sulla pillola ormonale, se cioè questa dovesse essere qualificata come pratica contraccettiva, e anche, soprattutto, sulla qualificazione morale degli atti contraccettivi. L’enciclica, come è noto, ribadirà l’immoralità intrinseca della contraccezione in quanto tale.
Ricostruendo la storia del faticoso cammino verso la stesura definitiva di Humanae vitae, grazie soprattutto al prezioso lavoro di don Gilfredo Marengo, si comprende che le preoccupazioni del Papa non erano concentrate sul compito di fissare i termini irrinunciabili dei contenuti della fede e della morale, né tanto meno erano legate a incertezza sul giudizio di merito riguardo alle pratiche contraccettive.
L’attenzione e le preoccupazioni del Papa riguardavano invece in primo luogo la fondazione e lo sviluppo della riflessione teologica e filosofica sulla vita e sull’amore umano, come mostrano le reiterate richieste al gruppo di lavoro di approfondire e articolare l’esposizione sulla «santità» e «la pienezza fondamentale della vita umana» (4).
In secondo luogo, san Paolo VI chiedeva di ricercare un linguaggio capace di proporre l’insegnamento della Chiesa in maniera convincente e fruttuosa, sia all’esterno che al proprio interno (5).
Che entrambe le preoccupazioni fossero fondate è dimostrato anche dalla testimonianza del Papa emerito Benedetto XVI (2005-2013) che, nell’intervista con Peter Seewald, ha rivelato la difficoltà personale incontrata nella lettura dell’enciclica: «Nella mia situazione, nel contesto del pensiero teologico di allora, l’Humanae vitae era un testo difficile. Era chiaro che ciò che diceva era valido nella sostanza, ma il modo in cui veniva argomentato per noi, allora, anche per me, non era soddisfacente. Io cercavo un approccio antropologico più ampio. E in effetti papa Giovanni Paolo II [1978-2005] ha poi integrato il taglio giusnaturalistico dell’enciclica con una visione personalistica» (6). L’approccio del Papa polacco ha in effetti portato la Chiesa a ricondurre l’intima, indissolubile e fedele unione degli sposi e l’apertura alla vita a un’unica dimensione di amore, di cui i vari beni matrimoniali costituiscono sfaccettature inscindibili. Tale crescita nella verità ha anche permesso di superare il rischio che l’approccio pastorale passato, pur vero nella sua semplicità naturale, venisse derubricato al mero «mi sposo per far figli e avere qualcuno che mi stiri le camicie/mi porti a casa di che vivere» (7).
Infine, la preoccupazione di san Paolo VI riguardava anche le prevedibili difficoltà che la parola del magistero sul tema di vita e famiglia avrebbe potuto incontrare, visto il clima dialettico in cui si era sviluppato il lavoro preparatorio dell’enciclica. Bisogna riconoscere che la storia della ricezione di Humanae vitae ha confermato la fondatezza di questo timore.
Spesso si sente dire, e secondo me a ragione, che Humanae vitae è stata un’enciclica profetica. Se prendiamo sul serio quest’affermazione possiamo domandarci in concreto quale sia il suo senso.
Stephan Kampowski, professore di Antropologia filosofica presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II, offre un punto di partenza interessante per affrontare il tema (8). Egli ricorda che alla fine degli anni 1960, dalla trama del dibattito culturale, emerge con forza lo scontro fra due visioni antropologiche opposte e irriducibili che si contendono il cuore dell’uomo e si propongono di orientare le istituzioni civili.
Due visioni che propongono ciascuna il proprio modello di felicità. Ciascuna di queste visioni ebbe il proprio profeta.
La prima visione è ben rappresentata, e si potrebbe dire che vi trovò il proprio profeta, da Margaret Sanger (1879-1966) (9), fondatrice di Planned Parenthood, promotrice della legalizzazione della contraccezione e dell’aborto e autoproclamata paladina delle donne. Scrive la Sanger: «Quale effetto avrà la pratica del controllo delle nascite sullo sviluppo morale della donna? […] Spezzerà le sue catene. La renderà libera di comprendere le proprie voglie e i bisogni spirituali suoi e delle altre donne. La renderà capace di sviluppare la propria natura d’amore separata e indipendente dalla sua natura di madre» (10). «Attraverso il sesso l’umanità può conseguire la grande illuminazione spirituale che illuminerà il mondo, che può illuminare l’unico cammino verso il paradiso terrestre» (11). Le parole di questa paladina della rivoluzione sessuale si pongono nel solco del filone culturale avviato da Sigmund Freud (1856-1939), che con Wilhelm Reich (1897-1957) arriverà a sostenere esplicitamente che «il fulcro della felicità della vita è la felicità sessuale» (12).
L’idea sottesa alla rivoluzione sessuale era che se gli uomini e le donne avessero potuto vivere liberamente le proprie pulsioni, senza preoccuparsi delle responsabilità legate alla genitorialità, avrebbero raggiunto l’appagamento e quindi la felicità e sarebbero venute meno le fonti di frustrazione, di aggressività e di devianza.
Si trattava di una logica che a molti, anche fra i cattolici, pareva plausibile. Così vi era chi, all’interno della Chiesa, auspicava un cambiamento nell’insegnamento sulla contraccezione.
A favore di questo cambiamento si argomentava che l’uso libero dei contraccettivi avrebbe migliorato la qualità del legame affettivo fra gli sposi e la qualità dell’educazione, dato che un numero minore di figli avrebbe consentito di dedicare più attenzione a ciascuno di essi.
Dopo l’introduzione in Italia della legge sul divorzio, nel 1970, a questi argomenti si aggiungerà anche quello della diminuzione del tasso dei divorzi. A questa profezia di felicità, che si presenta con una visione seducente e argomenta con ragioni apparentemente sensate, si oppone un secondo profeta che alza la sua voce predicendo effetti del controllo delle nascite del tutto contrari a quelli annunciati dalla Sanger.
San Paolo VI con l’enciclica Humanae vitae dà voce alla visione antropologica cristiana sull’amore e sulla vita. Secondo lui la diffusione delle pratiche contraccettive avrebbe avuto delle conseguenze personali e sociali molto gravi aprendo la via «all’infedeltà coniugale e all’abbassamento generale della moralità» (13). Visto che nella sfera affettiva e sessuale le persone sono particolarmente vulnerabili, esse «[…] hanno bisogno d’incoraggiamento a essere fedeli alla legge morale e non si deve loro offrire qualche facile mezzo per eluderne l’osservanza» (14).
L’enciclica sembra anche domandarsi se è proprio vero che la liberazione della donna consiste nell’essere, in linea di principio, sempre disponibile sessualmente. Sembra piuttosto che «l’uomo, abituandosi all’uso delle pratiche anticoncezionali, finisca per perdere il rispetto della donna e, senza più curarsi del suo equilibrio fisico e psicologico, arrivi a considerarla come semplice strumento di godimento egoistico e non più come la sua compagna rispettata e amata» (15), rendendo, fra l’altro, superflua qualsiasi riflessione sulla comune responsabilità generativa.
Nel suo complesso Humanae vitae insegna che l’amore umano, nella sua sostanza, non è mai riducibile all’istinto e al sentimento. Esso è dono dell’intera persona, fedele, esclusivo e fecondo, cioè destinato a continuare in nuove vite (cfr. n. 9). Perciò richiede il riconoscimento della connessione inscindibile fra significato unitivo e significato procreativo dell’atto coniugale.
Non è difficile a mezzo secolo di distanza, e in una società in cui la contraccezione è quasi universalmente diffusa, vedere quale tra le due sia stata la vera profezia. Non solo non si è realizzato l’avvento di un nuovo paradiso terrestre, ma oggi risulta evidente come la posta in gioco del problema della contraccezione fosse il significato stesso dell’umano, se cioè la sessualità abbia un valore, per così dire, «ricreativo», oppure se essa sia espressione della verità e dignità della persona umana.
I momenti principali della lunga marcia della rivoluzione antropologica, promossa dai fautori della rivoluzione sessuale, verso la conquista della cultura e della società sono noti: nel 1970 l’approvazione della legge sul divorzio, nel 1978 la legge n. 194 che legalizza l’aborto, nel 2015 l’introduzione del divorzio breve, nel 2016 le unioni civili che legalizzano di fatto il «matrimonio» fra persone dello stesso sesso (16), nel 2017 le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento, che aprono la strada all’eutanasia. Contemporaneamente vengono gettate le basi per togliere la libertà di pensiero e di espressione (con il disegno di legge sull’omofobia), per introdurre l’ideologia gender nelle scuole, per sponsorizzare la compravendita dei bimbi con la fecondazione artificiale, l’utero in affitto e le adozioni omogenitoriali.
Una società rancorosa
L’impatto di questo itinerario ha sfilacciato il tessuto sociale.
Il 51° Rapporto del CENSIS dell’autunno 2017 fotografa una società che ha compiuto il passaggio da una situazione «coriandolare» (17) alla situazione di «coriandoli dissociati», volendo descrivere con questa espressione una situazione di finale liquefazione del tessuto sociale.
La realtà descritta dal Rapporto del CENSIS è quella di una società che ha cambiato la sua morfologia, che è sempre meno società e sempre più «sommatoria di frammenti» (18), cioè dis-società, luogo di relazioni, sempre più conflittuali e con sempre meno speranza.
Sembra essere venuto meno lo spazio della speranza che rende possibile immaginare un futuro migliore, condizionando ogni sforzo di ricostruzione di un tessuto sociale sano, in grado di durare nel tempo.
Il venir meno della progettualità sul futuro ha prodotto un atteggiamento rancoroso, che reputa del tutto inutile non solo l’impegno, ma persino la contrapposizione socio-politica e si dirige invece sulle micro-relazioni, cioè verso coloro che, con la loro prossimità, possono disturbare il livello di benessere quotidiano faticosamente raggiunto.
Il rancore — meno conflittuale verso le istituzioni macro-sociali e invece conflittuale verso le relazioni micro-sociali — sembra nascere dal constatato fallimento non di promesse di singoli o di gruppo, ma di tutte le promesse della modernità.
All’impossibilità d’immaginare un futuro migliore corrisponde la nuova mappa dell’immaginario collettivo, che cerca una felicità sostenibile individualmente ed è centrata sulla ricerca del benessere individuale, dei suoi strumenti e simboli.
Fra le cause che hanno determinato la dissoluzione del tessuto sociale svolge un ruolo fondamentale il cambiamento di significato attribuito alla sessualità. Tale significato costituisce infatti il punto di raccordo fra etica della vita ed etica sociale.
L’identità sessuata contiene in sé due aspetti fondamentali per la società: il primo è la reciprocità che fonda la socialità come relazione di accoglienza, il secondo è l’apertura alla vita che fonda la società in quanto proietta il genere umano nel futuro.
Sia nella complementarietà fra i coniugi sia nell’apertura alla vita si produce, in modo concreto e non solo emozionale, l’atteggiamento di accoglienza — accoglienza dell’altro nella sua differenza di maschio o femmina, accoglienza del figlio — senza del quale la società non esiste.
Quando manca un atteggiamento di accoglienza reale fra i coniugi, nel momento iniziale e costitutivo della vita sociale, ci si chiede come potrà esserci dopo, negli altri aspetti della vita comunitaria. Per questo nell’enciclica Caritas in veritate si legge: «Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiranno. L’accoglienza della vita tempra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco» (19).
Il legame fra etica della vita ed etica sociale andrà emergendo con sempre maggiore chiarezza soprattutto durante il pontificato di san Giovanni Paolo II, e sarà destinato ad assumere sempre più rilievo nel magistero. Basti pensare alla «teologia del corpo» (20) del Pontefice polacco, frutto delle udienze generali tenute dal 1979 al 1984, ai suoi testi Familiaris consortio (1981), Evangelium vitae (1995), Mulieris dignitatem (1988), e, in generale, a tutto il suo magistero.
L’approfondimento in senso sociale del magistero sulla vita è legato a una svolta radicale che si è manifestata negli ultimi decenni, da quando cioè la cultura occidentale ha iniziato a mettere in discussione non solo la praticabilità della proposta cristiana sul matrimonio e sulla vita, ma la sua stessa verità.
La prospettiva pastorale
La prospettiva pastorale che segna il cammino della Chiesa da Humanae vitae a Evangelium Vitae, da Familiaris consortio ad Amoris laetitia, coglie il cambiamento avvenuto nel frattempo nella società e ne tiene conto, modulando le scelte pastorali a contesti legati a fasi storiche e culturali diverse.
L’esortazione apostolica Familiaris consortio considera la famiglia la realtà decisiva per il futuro dell’umanità e indica ad essa quattro compiti: «la formazione di una comunità di persone; il servizio alla vita; la partecipazione sociale e la partecipazione ecclesiale. Sono tutte funzioni alla cui base c’è l’amore, ed è a questo che educa e forma la famiglia» (21).
Anche l’esortazione apostolica Amoris laetitia parte dalla considerazione che il bene della famiglia è decisivo per il futuro della società e della Chiesa, e tutto il documento è perciò centrato sui modi in cui l’amore nella famiglia può essere promosso e sostenuto. L’esortazione non si propone quindi di affrontare la dottrina sul matrimonio, ma di indicare i criteri che devono guidare l’azione pastorale in questo ambito, considerando con particolare attenzione le situazioni di fragilità in considerazione della grave crisi antropologica diffusa nella società occidentale e senza in alcun modo «ridurre le esigenze del Vangelo» (22).
Proposito ben descritto e commentato dal cardinale Elio Sgreccia: «[…] il Papa intende chiedere alla Chiesa di essere vicina anche ai divorziati e ai risposati per dire loro che la Chiesa non li abbandona e che ove e quando si presentano le condizioni di vita, concede loro anche i sacramenti ove si presentano le condizioni ammesse e note anche nella Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II. Questa di papa Francesco è una metodologia pastorale che mira ad accompagnare i fedeli, non a negare i danni del divorzio, ma a ripararli quando si potrà, se non altro in punto di morte. Quello che Francesco cerca è di mantenere viva la fede e la preghiera, di riconoscere i casi di nullità quando esistono. Insomma, una metodologia pastorale che non smentisce la verità, ma accompagna la fede e cerca di praticare la verità. Questo mi impedisce di assumere toni critici verso il Santo Padre e mi induce spesso a usare lo stesso metodo con famiglie ferite dalle separazioni e in cammino faticoso nella riconciliazione con Dio, nella educazione dei figli e nell’attesa di quel “meglio” che ognuno di noi ha sempre di fronte. Per questo sono grato a papa Francesco, per quello che insegna, senza cambiare la serietà e la verità del patto coniugale e del sacramento» (23).
Laura Boccenti
Note:
(1) Cfr. Gilfredo Marengo, La nascita di un’enciclica. Humanae vitae alla luce degli Archivi Vaticani, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2018, pp. 33-34.
(2) Ibid., p. 41.
(3) Ibidem
(4) Ibid., p. 85.
(5) Cfr. la nota d’ufficio del 15 settembre 1967 del Segretario della Congregazione per la Dottrina della fede, Paolo Philippe O.P. (1905-1984), XXXII, 658, cit. in ibid., pp. 78-79.
(6) Benedetto XVI, Ultime conversazioni, a cura di Peter Seewald, trad. it., Garzanti, Milano 2016, p. 216.
(7) Cfr. l’attuale formulazione del Codice di Diritto Canonico, canone 1055 §1: «Il patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla generazione e educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento».
(8) Cfr. Stephan Kampowski, Anscombe e la sapienza di Humanae vitae: una parola profetica, in Gertrude Elizabeth Margaret Anscombe, Una profezia per il nostro tempo: ricordare la sapienza di Humanae vitae, trad. it., a cura di S. Kampowski, Cantagalli, Siena 2018, pp. 29-58.
(9) Cfr. Francesco Tanzilli, Per la donna, contro le donne. Margaret Sanger e la fondazione del movimento per il controllo delle nascite, prefazione di Maria Bocci, Studium, Roma 2012.
(10) Margaret Sanger, Women and the new race, Eugenics Publishing Company, New York 1929, pp. 179-180, cit. in G.E.M. Anscombe, op. cit., p. 29.
(11) M. Sanger, The Pivot of Civilisation, Brentano’s Publishers, New York 1922, p. 271, cit. in ibid., p. 29.
(12) Wilhelm Reich, Prefazione a The sexual Revolution, Farrar, Straus and Giroux, New York 1974, XXVI, cit. in ibidem.
(13) Paolo VI, Lettera enciclica «Humanae vitae» sulla retta regolazione della natalità, del 25-7-1968, n. 17.
(14) Ibidem.
(15) Ibidem.
(16) Cfr. Giancarlo Cerrelli e Marco Invernizzi, La famiglia in Italia dal divorzio al gender, prefazione di Massimo Gandolfini, Sugarco, Milano 2017.
(17) Cfr. CENSIS. Centro Studi Investimenti Sociali, 41° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese 2007. Considerazioni generali, FrancoAngeli, Milano 2007, p. 7.
(18) Idem, 51° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese 2007. Considerazioni generali, FrancoAngeli, Milano 2017, p. 7
(19) Benedetto XVI, Lettera enciclica «Caritas in Veritate» sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità, del 29-6-2009, n. 28.
(20) L’importante magistero sulla «teologia del corpo» del santo pontefice è stato sintetizzato nei testi di Yves Semen: La sessualità secondo Giovanni Paolo II, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2014; La spiritualità coniugale secondo Giovanni Paolo II, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2011; e La famiglia secondo Giovanni Paolo II, San Paolo Cinisello Balsamo (Milano) 2012; cfr. anche Giovanni Paolo II, Compendio della teologia del corpo, a cura di Y. Semen, Ares, Milano 2018.
(21) Benedetto XVI, Discorso rivolto ai partecipanti al convegno internazionale promosso dalla Fondazione Centesimus Annus-Pro Pontifice, del 15-10-2011.
(22) Francesco, Esortazione apostolica postsinodale «Amoris laetitia» ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate, agli sposi cristiani e a tutti i fedeli laici, sull’amore nella famiglia, del 19-3-2016, n. 301.
(23) Card. Elio Sgreccia, La bioetica italiana, «dono» di padre Pio, intervista a cura di Luciano Moia, in Avvenire. Quotidiano di ispirazione cattolica, Milano 6-6-2018. Sull’esortazione apostolica di Papa Francesco, cfr. il mio «Amoris laetitia». La via della misericordia, in Cristianità, anno XLIV, n. 380, aprile-giugno 2016, pp. 7-16, e Don Pietro Cantoni, Riflessioni a proposito dell’esortazione apostolica post-sinodale «Amoris laetitia» di Papa Francesco, ibid., pp. 19-34.