Il cibo e la sua gestione sono specchio di quello che abbiamo nell’anima
di Michele Brambilla
Papa Francesco dedica l’udienza del 10 gennaio al vizio della gola. L’invito, come sempre, è «guardiamo a Gesù. Il suo primo miracolo, alle nozze di Cana, rivela la sua simpatia nei confronti delle gioie umane: Egli si preoccupa che la festa finisca bene e regala agli sposi una gran quantità di vino buonissimo».
La Torah poneva dei paletti molto rigidi alle abitudini alimentari degli Ebrei, come ricorda lo stesso Pontefice. «Mentre l’atteggiamento di Gesù nei confronti dei precetti ebraici ci rivela la sua piena sottomissione alla Legge, Egli però si dimostra comprensivo con i suoi discepoli: quando questi vengono colti in fallo, perché avendo fame colgono delle spighe di grano in giorno di sabato, Lui li giustifica, ricordando che anche il re Davide e i suoi compagni, trovandosi nel bisogno, avevano mangiato dei pani sacri (cfr Mc 2,23-26)», riepiloga il Santo Padre. Così facendo, Cristo demolisce la concezione secondo la quale la salvezza proverrebbe dall’esatta applicazione di alcune norme rituali o dall’astensione da determinati cibi: a contare è la fedeltà al Signore. Un Signore che, finché è fisicamente presente (Gesù allude, nel brano di Marco, alla Passione, durante la quale lo Sposo sarà brevemente “tolto” alla Sposa, la Chiesa), è Egli stesso la fonte della gioia autentica per i discepoli. Il cattolico è un uomo profondamente gioioso, perché vive alla costante presenza di Gesù.
La religione cattolica non contempla ingombranti prescrizioni alimentari, perché l’uomo deve concentrarsi «non sul cibo in sé, ma sulla nostra relazione con esso. E Gesù su questo dice chiaramente che quello che fa la bontà o la cattiveria, diciamo così, di un cibo, non è il cibo in sé ma la relazione che noi abbiamo con esso. E noi lo vediamo, quando una persona ha una relazione non ordinata con il cibo, guardiamo come mangia, mangia di fretta, come con la voglia di saziarsi e mai si sazia, non ha un rapporto buono con il cibo, è schiavo del cibo». In proposito, nella nostra società «si mangia troppo, oppure troppo poco. Spesso si mangia nella solitudine. Si diffondono i disturbi dell’alimentazione: anoressia, bulimia, obesità». Il Papa non nasconde che «si tratta di malattie, spesso dolorosissime, che per lo più sono legate ai tormenti della psiche e dell’anima. L’alimentazione è la manifestazione di qualcosa di interiore: la predisposizione all’equilibrio o la smodatezza; la capacità di ringraziare oppure l’arrogante pretesa di autonomia; l’empatia di chi sa condividere il cibo con il bisognoso, oppure l’egoismo di chi accumula tutto per sé».
«Gli antichi Padri chiamavano il vizio della gola con il nome di “gastrimargia”, termine che si può tradurre con “follia del ventre”. La gola è una “follia del ventre”. E c’è anche questo proverbio: che noi dobbiamo mangiare per vivere, non vivere per mangiare», elenca Francesco. «Ecco dunque il grande peccato, la furia del ventre: abbiamo abiurato il nome di uomini, per assumerne un altro, “consumatori”. E oggi si dice così nella vita sociale: i “consumatori”», mentre «siamo fatti per essere uomini e donne “eucaristici”, capaci di ringraziamento, discreti nell’uso della terra».
Insomma, l’Eucaristia ci insegna anche questo. E poiché il Pane eucaristico viene dalla spiga e questa dal buon seme, «preghiamo il Signore perché semini nel cuore delle autorità dei Paesi il seme della pace», che è Gesù stesso.
Giovedì, 11 gennaio 2024