Da “La nuova Bussola Quotidiana” del 16 febbraio 2017. Foto da Catholic NYC
Mancano soldi per mantenere la carneficina dell’aborto internazionale? Ma ci pensa l’Unione Europea, che evidentemente ha soldi da buttare.
Mantenendo quanto promesso in campagna elettorale, uno dei primissimi atti di governo compiuti dal presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump dopo il suo insediamento alla Casa Bianca è stato tornare a negare il denaro dei contribuenti americani alle lobby internazionali che praticano o promuovono l’aborto nel mondo. Il primo a negare quel denaro fu nel 1984 il presidente Ronald Reagan (1911-2004), seguito a ruota dai presidenti Bush padre e figlio, mentre i presidenti Bill Clinton e Barack Obama hanno fatto l’esatto contrario. Stante dunque la decisione di Trump, gli abortifici mondiali, prima fra tutti la famosa e famigerata Planned Parenthood, si sono trovati con un buco di bilancio enorme. E così, a 60 anni dai Trattati di Roma che remotamente istituirono quella che oggi è l’Unione Europea, martedì 14 febbraio il Parlamento Europeo ha pensato di metterci una pezza votando un provvedimento che propone la creazione di un fondo sostitutivo.
La proposta ha la forma di un emendamento presentato da tre eurogruppi (Socialisti e Democratici, Sinistra Unitaria Europea e Verdi) alla risoluzione sulle priorità per la 61esima sessione della Commissione delle Nazioni Unite sulla condizione delle donne approvata con 371 voti a favore, 198 contrari e 74 astensioni.
Per quel che riguarda la rappresentanza italiana, la maggior parte degli eurodeputati del Movimento 5 Stelle, di Forza Italia e della Lega Nord hanno votato per bocciare la proposta. Per il M5S si sono espressi contro Isabella Adinolfi, Laura Agea, Daniela Aiuto, Tiziana Beghin, Marco Valli e Marco Zullo; ha favore ha voltato solo Dario Tamburrano ha votato a favore, mentre si sono astenuti David Borrelli, Fabio Massimo Castaldo, Ignazio Corrao, Laura Ferrara, Giulia Moi e Piernicola Pedicini. Per la Lega, i contrari includono Mara Bizzotto, Mario Borghezio, Angelo Ciocca, Lorenzo Fontana e Matteo Salvini, oltre a Marco Zanni entrato nel gruppo euroscettico dopo aver lasciato il M5S. Nel Partito Popolare Europeo, di cui fanno parte Forza Italia, il Nuovo Centrodestra e la Südtiroler Volkspartei, hanno votato “No” Lorenzo Cesa, Salvatore Cicu, Alberto Cirio, Lara Comi, Herbert Dorfmann, Elisabetta Gardini, Giovanni La Via, Fulvio Martusciello, Alessandra Mussolini, Aldo Patriciello, Salvatore Pogliese e Massimiliano Salini. La delegazione del Partito Democratico si è invece spaccata.
A favore si sono espressi Brando Benifei, Simona Bonafè, Goffredo Bettini, Nicola Caputo, Caterina Chinnici, Sergio Cofferati, Andrea Cozzolino, Enrico Gasbarra, Elena Gentile, Antonio Panzeri, Gianni Pittella, David Sassoli, Elly Schlein e Daniele Viotti. Contro hanno votato sono Luigi Morgano, Patrizia Toia, Damiano Zoffoli, mentre Silvia Costa e Nicola Danti si sono astenuti. Inoltre, nel gruppo della Sinistra Unitaria Europea hanno votato a favore Eleonora Forenza, Curzio Maltese, Barbara Spinelli. In quello dei Verdi, l’ex grillino Marco Affronte. Tra i non iscritti, Renato Soru.
Certo, la proposta votata martedì non è vincolante, ma si sa bene come vanno queste cose. E soprattutto, se nei giorni scorsi i media hanno parlato di ostilità della nuova Amministrazione statunitense verso l’Unione Europea, la decisione presa dall’europarlamento martedì a Strasburgo dice piuttosto il contrario, e tra l’altro non su qualche zero virgola, ma su un punto indisponibile qual è la tutela della vita umana nascente. Inviperito, il Parlamento Europeo giudica infatti la decisione antiabortista di Trump «un attacco diretto e un passo indietro nei confronti dei progressi conseguiti nell’ambito dei diritti delle donne» (così si legge nella risoluzione).
La strada scelta dall’Europarlamento è del resto quella indicata pochi giorni fa con chiarezza dal governo dei Paesi Bassi che il 26 gennaio ha appunto annunciato la creazione di un “tesoretto” atto a compensare le perdite finanziarie subite dalle Ong abortiste.
Tristemente, non è una storia nuova. Successe lo stesso quando nel 2002 il presidente americano George W. Bush Jr. decise di tagliare i finanziamenti al Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA). Bush Jr. lo fece impugnando il cosiddetto “Kemp-Kasten Amendment” del 1985 – dai nomi dei due deputati Repubblicani, Jack Kemp [1935-2009] e Robert Kasten, che lo proposero ? in base al quale gli Stati Uniti non possono assegnare fondi a organizzazioni che sostengano o partecipino a programmi di aborto o di sterilizzazione forzate. Dato che, come allora accertato da un’indagine del Dipartimento di Stato americano, l’UNFPA girava parte dei soldi ricevuti ad agenzie governative cinesi legate alla pratica di aborto e sterilizzazione, Bush riuscì facilmente a chiudere quel ricco rubinetto. Ebbene, fu allora che la Commissione Europea presieduta da Romano Prodi mise per la prima vota i soldi mancanti.
Bush Jr. continuò a negare quei fondi per tutti gli otto anni della propria presidenza, negando all’UNFPA un totale di 244 milioni di dollari con l’approvazione del Congresso, e furono sempre i governi europei a colmare gli ammanchi. In quello stesso 2002 la danese Ulla M. Sandbæk, allora eurodeputata del “Movimento di giugno”, un partito euroscettico, riuscì infatti a far approvare dal Parlamento Europeo il cosiddetto “Sandbæk Report” (il titolo vero è Aid for Policies and Actions on Reproductive and Sexual Health and Rights in Developing Countries) che obbliga gli Stati membri dell’Unione Europea a finanziare l’aborto nel mondo attraverso le voci di bilancio relative all’aiuto estero. Poi tutto venne “normalizzato” nel gennaio 2009, allorché il nuovo presidente americano Barack Obama ripristinò alacremente il finanziamento statunitense all’UNFPA degli aborti.
Marco Respinti