Di Giuseppe Ghini da Libero del 25/08/2022
C’è una differenza sostanziale tra quello che predica papa Francesco sui migranti e quello che sostengono tanti, anche tanti cattolici, che dicono di ispirarsi proprio a papa Francesco. La differenza è presto detta. Quando parla di migranti e dell’integrazione tra i migranti e la comunità che li ospita, il Papa parla di «processo bidirezionale, con diritti e doveri reciproci». «Chi accoglie – ha spiegato chiaramente papa Francesco nel discorso tenuto l’8 gennaio 2018 ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede – è infatti chiamato a promuovere lo sviluppo umano integrale, mentre a chi è accolto si chiede l’indispensabile conformazione alle norme del Paese che lo ospita, nonché il rispetto dei principi identitari dello stesso». Dunque, dice il Papa, esistono doveri anche per il migrante: il dovere di conformarsi alle norme del Paese che lo ospita e il dovere di rispettare i principi identitari di quel Paese. Ed è compito dei governanti far rispettare queste norme ai migranti e a fargli rispettare i principi identitari del nostro Paese. Come ha spiegato nel Messaggio per la pace del I gennaio 2018, ai governanti spetta «la gestione responsabile di nuove situazioni complesse nonché delle risorse che sono sempre limitate». Dunque, prosegue il Papa, citando l’enciclica Pacem in terris di Papa Giovanni XXIII, «praticando la virtù della prudenza, i governanti sapranno accogliere, promuovere, proteggere e integrare, stabilendo misure pratiche, “nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, permettere quell’inserimento”». E continuava. «Essi – i governanti– hanno una precisa responsabilità verso le proprie comunità, delle quali devono assicurare i giusti diritti e lo sviluppo armonico, per non essere come il costruttore stolto che fece male i calcoli e non riuscì a completare la torre che aveva cominciato a edificare». Chi parla di princìpi identitari di un Paese, di precise responsabilità verso le proprie comunità e il loro sviluppo armonico, chi invita alla prudenza nella considerazione delle risorse che sono sempre limitate, non è qui Orban o un sindaco leghista, ma è papa Francesco. Certo, a questi doveri del migrante corrispondono dei precisi doveri di chi accoglie quel migrante. E tuttavia, se uno va direttamente alle fonti, non può non stupirsi per la differenza che passa tra i discorsi di Papa Francesco e la versione che di quei discorsi viene riportata non solo dai mass-media laicisti, ma anche da tanti ambienti cristiani, parrocchie, Caritas e perfino Dicasteri vaticani.In quegli ambienti l’invito papale alla corresponsabilità, alla prudenza, ai doveri di chi accoglie come di chi è accolto, invito perfettamente in linea congli scritti degli ultimi papi, viene spesso stravolto. È quello che succede per esempio nei 20Punti di Azione Pastorale elaborati dalla Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale del Vaticano, dove il processo bidirezionale che riconosce e valorizza la ricchezza della cultura dell’altro viene sostanzialmente ignorato e ridotto al riconoscimento dello ius soli e alla facilitazione del ricongiungimento familiare. Ecco allora la differenza sostanziale tra papa Francesco e i suoi commentatori e interpreti: la prudente bidirezionalità del processo d’integrazione invocata da papa Francesco viene trasformata nella unidirezionalità dell’accoglienza senza regole, i doveri dei migranti scompaiono, le risorse a disposizione dei paesi ospitanti diventano illimitate, e la responsabilità dei governanti verso la loro comunità lascia il posto alla demagogia populista.