Una premessa. L’esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo Gaudete et exsultate di Papa Francesco andrebbe letta, meglio un paio di volte, prima di commentarla, spesso a sproposito, senza averla veramente meditata. Si tratta di un testo del Magistero, ma è soprattutto una lettura spirituale che vuole aiutare i battezzati a prendere sul serio l’intuizione di tutti i Pontefici del Novecento, e in particolare i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), sull’importanza dell’apostolato dei laici e sulla chiamata universale alla santità.
Venendo al testo, nel primo capitolo, La chiamata alla santità, il Papa si appella ai battezzati affinché non abbiano paura della santità e si ricordino di essere chiamati a diventare santi attraverso la vita e le azioni ordinarie. Soltanto il giorno del Giudizio sapremo quante persone sono diventate sante e hanno influito positivamente nella nostra vita senza alcun clamore, a volte senza che ce ne accorgessimo. La santità implica il primato della Grazia e l’abbandono fiducioso in Dio che opera attraverso le creature per «[…] costruire con Lui, questo Regno di amore, di giustizia e di pace per tutti» (n. 25).
La logica cristiana è quella dell’et et: la preghiera e l’azione o meglio, per usare le parole di sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), il contemplativo in azione, che non dialettizza mai preghiera e lavoro, spirito e corpo, ma cerca «[…] uno spirito di santità che impregni tanto la solitudine quanto il servizio, tanto l’intimità quanto l’impegno evangelizzatore, così che ogni istante sia espressione di amore donato sotto lo sguardo del Signore» (n. 31).
Nel secondo capitolo, vengono esaminati «due sottili nemici della santità» ‒ questo il titolo del capitolo ‒, lo gnosticismo e il pelagianesimo, due antiche eresie «[…] che continuano ad avere un’allarmante attualità» (n. 35). Il testo si sofferma sulla presenza oggi di queste due tendenze negative. «Lo gnosticismo è una delle peggiori ideologie poiché, mentre esalta indebitamente la conoscenza o una determinata esperienza, considera che la propria visione della realtà sia la perfezione» (n. 40), mentre il pelagianesimo e il semipelagianesimo attribuiscono alla volontà umana quello che lo gnosticismo attribuiva all’intelligenza, in ciò contraddicendo quanto la Chiesa ha sempre insegnato, «[…] che non siamo giustificati dalle nostre opere o dai nostri sforzi, ma dalla grazia del Signore che prende l’iniziativa» (n. 52).
Il terzo capitolo, Alla luce del Maestro, entra nel merito di cosa sia la santità e lo fa con le parole del Signore: «Gesù ha spiegato con tutta semplicità che cos’è essere santi, e lo ha fatto quando ci ha lasciato le Beatitudini» (n. 63). Così il Papa spiega come la santità presupponga il superamento di ogni inquinamento ideologico dell’essere cristiani, sia riducendo il cristianesimo a una ong, sia disprezzando l’impegno sociale a favore dei poveri per realizzare la giustizia. Anche qui la logica è quella dell’et et: «La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto» (n. 101).
Di grande importanza è il quarto capitolo, Alcune caratteristiche della santità nel mondo attuale, che affido alla lettura di ciascuno, proprio come forma di preghiera personale che aiuta a desiderare la santità e a crescere in essa. Papa Francesco indica cinque «[…] grandi manifestazioni dell’amore per Dio e per il prossimo» di fronte agli errori della cultura moderna: «l’ansietà nervosa e violenta che ci disperde e debilita; la negatività e la tristezza; l’accidia comoda, consumista ed egoista; l’individualismo, e tante forme di falsa spiritualità senza incontro con Dio che dominano nel mercato religioso attuale» (n. 111). Da questa premessa nasce un invito al combattimento spirituale che indica la pratica dell’umiltà, chiede di non volere sempre giudicare gli altri, domanda di rispettare l’VIII comandamento nell’uso dei media e dei social, evitando di usare la lingua o la penna come arma per denigrare l’avversario e compiacendosi in questo, spesso distruggendo «[…] l’immagine altrui senza pietà» (n. 115) e tenendo conto che frequentemente questa rabbia si scaglia contro fratelli nella fede, semplicemente perché hanno opinioni diverse.
Infine, «[…] malgrado sembri ovvio», il Pontefice ricorda la necessità della preghiera per camminare lungo la via della santità: essa «[…] è fatta di apertura abituale alla trascendenza, che si esprime nella preghiera e nell’adorazione» (n. 147).
L’ultimo capitolo, Combattimento, vigilanza e discernimento, mette in luce soprattutto la lotta contro il diavolo, che non è «[…] un mito, una rappresentazione, un simbolo, una figura o un’idea» e «ci avvelena con l’odio, con la tristezza, con l’invidia, con i vizi» (n. 161). Satana va combattuto con «[…] le potenti armi che il Signore ci dà: la fede che si esprime nella preghiera, la meditazione della Parola di Dio, la celebrazione della Messa, l’adorazione eucaristica, la Riconciliazione sacramentale, le opere di carità, la vita comunitaria, l’impegno missionario» (n. 162). Questo combattimento, conclude il Santo Padre, va fatto con Maria, «[…] la santa fra i santi, la più benedetta, colei che ci mostra la via della santità e ci accompagna» (n. 176).
Marco Invernizzi, mercoledì 11 aprile 2018, San Stanislao