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«Gesù crede in noi più di noi in noi stessi»

31 Maggio 2017 - Autore: Michele Brambilla

La fitta settimana del Papa per ricordare che Dio ha dato all’uomo la grande dignità e responsabilità di annunciarlo al mondo, di renderlo accessibile all’umanità. Per chi appartiene alla Chiesa, è questo l’onore massimo

di Michele Brambilla

Settimana molto ricca di appuntamenti per il Papa, quella che culmina con la festività dell’Ascensione. Mercoledì 24 maggio viene eletto, seguendo la nuova procedura ‒ che coniuga voto dell’assemblea dei vescovi italiani e conferma papale ‒, il nuovo presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), l’arcivescovo di Perugia, cardinale Gualtiero Bassetti, nomina molto gradita al Pontefice e da lui subito confermata. Sabato 27 maggio il Santo Padre visita la diocesi retta dal cardinal Angelo Bagnasco, ora presidente emerito della CEI: Genova.

Diversi i momenti importanti: l’ingresso in città dallo stabilimento siderurgico dell’Ilva, che inserisce subito la visita nella dimensione propria alla Dottrina sociale della Chiesa; la santa Messa celebrata al porto, lo stesso da cui partirono i nonni italiani di Jorge Mario Bergoglio, emigranti in Argentina; e il pellegrinaggio con i giovani al Santuario di Nostra Signora della Guardia di Ceranesi, il più importante della Liguria, a una ventina di chilometri da Genova.

Fondamentale è stato soprattutto l’incontro con gli operai dell’Ilva, un’azienda oggi al centro di un’inchiesta delicatissima e prossima alla cessione, poiché il Papa ha colto l’occasione per esprimere la propria visione dell’imprenditoria. Contrariamente alla cattiva vulgata, che lo vorrebbe pauperista e marxisteggiante, il Pontefice ha condannato con chiarezza la deriva attualmente in atto nel mondo del lavoro, che introduce nell’impresa quella che da tempo egli definisce «[…] cultura dello scarto».

All’Ilva ha detto: «[…] ricordo, quasi un anno fa, un po’ di meno, alla Messa a Santa Marta alle 7 del mattino, all’uscita io saluto la gente che è lì, e si è avvicinato un uomo. Piangeva. Disse: “Sono venuto a chiedere una grazia: io sono al limite e devo fare una dichiarazione di fallimento. Questo significherebbe licenziare una sessantina di lavoratori, e non voglio, perché sento che licenzio me stesso”. E quell’uomo piangeva. Quello è un bravo imprenditore. Lottava e pregava per la sua gente, perché era “sua”: “È la mia famiglia”».

Il «[…] buon imprenditore» è dunque quello che corrisponde al ritratto stilatone dalla lettera enciclica Rerum novarum, promulgata nel 1891 da Papa Leone XIII (1810-1903): un uomo che si pone davvero al servizio, che ha cuore non solo il proprio profitto, ma anche il bene di tutta la comunità in cui è inserito. «Una malattia dell’economia», ha infatti osservato il Papa a Genova, «è la progressiva trasformazione degli imprenditori in speculatori. L’imprenditore non va assolutamente confuso con lo speculatore, sono due tipi diversi. Lo speculatore è una figura simile a quella che Gesù nel Vangelo chiama mercenario, per contrapporlo al buon pastore. Vede azienda e lavoratori solo come mezzi per fare profitto, usa azienda e lavoratori per fare profitto, non li ama». Il cristiano ha sempre per modello Cristo, il Buon Pastore che conosce le pecore una a una, le trae in salvo dai dirupi e dà la vita per esse; il che non implica necessariamente sempre il martirio fisico, ma certamente la dedizione completa e disinteressata.

Questi accenti pastorali sono ritornati inevitabilmente durante la riflessione che ha accompagnato la recita del Regina coeli domenica 28 in Vaticano, avvenuta dopo il massacro di cristiani copti compiuto da terroristi jihadisti nel Sinai. «Oggi», ha affermato il Pontefice, «siamo invitati a comprendere meglio che Dio ci ha dato la grande dignità e responsabilità di annunciarlo al mondo, di renderlo accessibile all’umanità. Questa è la nostra dignità, questo è il più grande onore nella Chiesa». Un onore, ma anche un onere, poiché a questo obiettivo si deve conformare tutta la vita, che si sia uomini privi di mezzi o imprenditori facoltosi. Il cattolico deve percepirsi cioè inviato in missione prima ancora della discesa dello Spirito Santo a Pentecoste: «Gesù si fida di noi», ha detto il santo Padre nell’omelia della concelebrazione eucaristica officiata sabato 27 in Piazzale Kennedy a Genova, «crede in noi più di quanto noi crediamo in noi stessi! Ci invia nonostante le nostre mancanze; […] se aspettiamo di diventare migliori per evangelizzare, non cominceremo mai».

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