La Cappella Reale del palazzo di Versailles traduce in architettura i canoni estetici del giansenismo e le ambizioni cesaropapiste di Luigi XIV
di Michele Brambilla
La Cappella Reale di S. Luigi IX di Francia, a Versailles, è il “cuore sacro” dell’enorme reggia edificata da re Luigi XIV (1643-1715). Si tratta del miglior esempio di architettura sacra barocca nel Paese transalpino, anche perché gli altri sono stati più o meno mutilati dalla Rivoluzione giacobina, ma è pure un manifesto delle teorie ecclesiologiche che serpeggiavano a corte.
Costruita tra il 1689 e il 1710, la Cappella Reale rappresenta, infatti, l’edificio che traduce in pietra i canoni estetici del giansenismo. Il giansenismo è un’eresia, sorta nelle Fiandre e attecchita soprattutto in Francia, che prendeva dal protestantesimo l’assolutizzazione della grazia divina e il pessimismo antropologico, pertanto a Versailles si decise di confinare le statue dei santi sul cornicione esterno della chiesa e di collocare sull’unico altare una simbologia aniconica di Dio.
Chi valicherà la soglia della cappella noterà immediatamente l’assenza di altari laterali: non c’è nulla che provi ad avvicinare Dio all’uomo. Talvolta c’è l’uomo che si avvicina impropriamente a Dio, come nel caso della collocazione anomala della cantoria nella conca absidale: con la sua cassa d’organo dorata, devia l’occhio del fedele dal tabernacolo eucaristico.
Sulle volte e nel catino absidale si vedono, si, grandi affreschi, ma con scelte iconografiche molto particolari: sulla navata Dio Padre in gloria che porta al mondo la promessa di redenzione, nel catino absidale La resurrezione di Cristo e sulla controfacciata La discesa dello Spirito Santo sulla Vergine e gli Apostoli, rappresentati in gruppo proprio per impedirne una venerazione “autonoma”. Come si può facilmente intuire, il tema di fondo è la Salvezza, ma, come insegna il giansenismo, si sottolinea unicamente l’intervento divino. Di Gesù si mostra proprio quell’attimo che lo distanzia inequivocabilmente da un essere umano qualunque. Anche l’interpretazione della Pentecoste, come abbiamo visto, è singolare: aggiungiamo solo che l’affresco si trova proprio sopra la tribuna reale, suffragando le teorie regalistiche sull’investitura divina e inserendo indirettamente il sovrano nel novero degli Apostoli, in chiave quasi cesaropapista (Luigi XIV avrebbe detto “gallicana”).
Colpisce della cappella anche il matroneo quasi continuo: esso serviva solo a dispiegare tutti i dignitari di corte, con i loro abiti sontuosi, durante le funzioni solenni. Sorge spontanea una domanda: l’intento di Luigi XIV era assolutizzare l’azione di Dio o oscurarla con quella umana, tramite le glorie della monarchia francese? La contraddizione è insita nelle stesse teorie gianseniste, che proprio mentre ponevano l’accento sulla Grazia obbligavano il penitente a tenersi lontano dai Sacramenti, che la forniscono, per un numero eccessivo di giorni. In questo modo il fedele era costretto a basarsi unicamente sulla propria ascesi personale, passando dall’assolutizzazione della Grazia al suo esatto opposto, ovvero il redivivo pelagianesimo.
Nel 1713, tre anni dopo il completamento della cappella, Papa Clemente XI (1700-21) condannò il giansenismo con la bolla Unigenitus: fu solo per motivi di coesione politica interna che Luigi XIV decise di applicare il provvedimento papale, ma ormai era troppo tardi.
La Cappella Reale di Versailles rimane come testimonianza di un mondo, colpito a morte dalla Rivoluzione, già debilitato da molte patologie filosofiche, ma la sua dedicazione a san Luigi IX può indicare la via di una nuova e autentica restaurazione sociale.
Sabato, 31 dicembre 2022