Sabato 30 settembre, a Piacenza, presso il PalabancaEventi — nella prestigiosa sala ora dedicata al presidente della Banca di Piacenza, recentemente scomparso, avvocato Corrado Sforza Fogliani (1938-2022) —, si è svolto un convegno dedicato al fondatore di Alleanza Cattolica, Giovanni Cantoni (1938-2020).
Ad accogliere gli oltre cento partecipanti è stato il vicepresidente della Banca di Piacenza, avvocato Domenico Capra, che ha ricordato come l’associazione fondata da Cantoni, amico e coetaneo del compianto avvocato Sforza Fogliani, sia sempre la benvenuta, auspicando che l’annuale convegno si possa ripetere anche negli anni a venire.
Il più giovane dei figli di Cantoni, Ignazio, ha dato quindi inizio ai lavori del convegno, ricordando nel suo breve intervento l’importanza della storia, che uno dei padri della Contro-Rivoluzione, il conte Joseph de Maistre (1753-1821), chiamava «politica sperimentale» e il cui studio deve essere alla base della preparazione di ogni uomo politico. «Chi sbaglia storia sbaglia politica», rimane una delle frasi più citate e iconiche del fondatore di Alleanza Cattolica.
Francesco Pappalardo — di Alleanza Cattolica, autore di opere di argomento storico, fra cui La parabola dello Stato moderno. Da un mondo «senza Stato» a uno Stato onnipotente, edita da D’Ettoris — ha tratteggiato un profilo di Giovanni Cantoni, ribadendo innanzitutto l’essenzialità dello studio della storia per la corretta comprensione del presente ed evidenziando l’originalità della lettura cantoniana di molte vicende italiane. Impossibile ignorare la sua analisi storica nell’affrontare argomenti cruciali quali la stratificazione delle varie anime del fascismo, l’Insorgenza come categoria politica, la «lezione italiana» rappresentata dalla resistenza del corpo sociale italiano all’aggressione politica e culturale comunista.
Queste illuminanti riflessioni di Cantoni risalgono al 1972, quando vennero compendiate nel saggio L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, anteposto alle prime edizioni italiane di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, del pensatore brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), e ora riproposto nel volume Scritti sulla Rivoluzione e sulla nazione. 1972-2006. Sono state approfondite, quindi, negli anni successivi con la sempre maggiore comprensione della natura dello «Stato moderno» — costruzione elitaria non esente da una «tentazione tecnocratica», che vorrebbe instaurare un regime caratterizzato dalla sospensione non della democrazia ma della politica — e della reazione popolare ad esso, l’Insorgenza, individuata come rifiuto da parte del corpo sociale delle imposizioni di una minoranza ideologica al potere.
PierLuigi Zoccatelli — della sezione torinese dell’Università Pontificia Salesiana e autore di numerose pubblicazioni — ha offerto una suggestiva immagine dell’opera «Costruiremo ancora cattedrali». Per una storia delle origini di Alleanza Cattolica (1960-1974), di cui è coautore con Oscar Sanguinetti, definendola «una storia di conversione e di conversioni». È vero, «il volume descrive l’infanzia e la gioventù di Alleanza Cattolica […], racconta come da un gruppetto di giovani cattolici di destra […] si è giunti a un’associazione di apostolato culturale riconosciuta dalla Chiesa, che vanta ormai più di cinquant’anni di azione a pieno regime e che ha espresso individualità di rilievo in più di un ambito professionale». È vero anche che «sin da allora si poneva come un soggetto civico-religioso che aveva ben chiari il proprio ruolo e la propria meta: combattere la Rivoluzione in tutte le sue sfere di azione, politica, culturale, ecclesiale e, incipientemente, in interiore homine, per restaurare una civiltà cristiana». «Nel fare questo — ha aggiunto Zoccatelli — riscoprirà via via il suo genuino afflato missionario cattolico e si collocherà al giusto posto fra le diverse realtà di questa natura nate nella Chiesa nel Novecento». Ed ecco, dunque, il punto centrale, il più caratterizzante: la conversione e le conversioni sono veramente alla base della nascita di Alleanza Cattolica.
Oscar Sanguinetti — anch’egli autore e curatore di numerosi libri di argomento storico e direttore della rivista Cultura&Identità — ha esordito ricordando che «Giovanni Cantoni, che oggi ricordiamo con affetto, preferiva decisamente la parola “parlata” rispetto a quella nero su bianco. Quando ha scritto, si è espresso attraverso testi di respiro per lo più breve, più spesso articoli di periodico e qualche volta anche saggi usciti in volumi a più firme o in volumi collettanei».
Un insieme di articoli e saggi di Cantoni è anche il già ricordato Scritti sulla Rivoluzione e sulla nazione. 1972-2006. Esso è lo «sforzo di dare lettura al fenomeno rivoluzionario nelle sue premesse culturali e nelle sue vicende storiche», che ha «come tema specifico il plesso di eventi che origina nel 1789, data emblematica, che segna il passaggio della Rivoluzione dalla cultura delle cerchie elevate della società all’ordine civile, alla instaurazione di un nuovo ordine politico e, in buona misura, anche sociale in tutta Europa».
Diversi i motivi per riproporre questi scritti: «In primis — argomenta Sanguinetti, che ne ha curato la riedizione — perché Cantoni ribadiva ininterrottamente che “repetita iuvant”». «Inoltre, secondo motivo, i temi su cui essi vertono sono temi classici e imperituri della cultura e della “battaglia delle idee” contro-rivoluzionaria e devono entrare, come si dice, nel bagaglio argomentativo anche materiale — la biblioteca — di chi in questa battaglia non vuole svolgere solo un ruolo di retrovia o passivo».
Il professor Eugenio Capozzi, ordinario di Storia Contemporanea presso l’Università degli Studi di Napoli «Suor Orsola Benincasa», studioso della cultura politica italiana contemporanea, ha osservato come Cantoni rappresenti una vera e propria «mosca bianca» nella cultura politica dell’Italia nel secondo dopoguerra. In primo luogo, perché fu tra i pochissimi a formulare i lineamenti di un conservatorismo d’ispirazione cristiana, ben distinto dal generico moderatismo caratterizzante il cattolicesimo politico democristiano dagli anni 1950 in poi, ma anche egualmente lontano sia dal nostalgismo neofascista sia dal «monarchismo» sabaudo. Un conservatorismo che non temeva la delegittimazione allora imperante nel mainstream politico italiano contro ogni idea di destra, anche perché si fondava su un’interpretazione radicata e coerente della storia occidentale nel suo complesso, nel senso di una critica strutturata alla modernità secolarizzata.
Ha poi osservato come nella tenace opera di pedagogia civile e negli scritti di Cantoni si ritrovino almeno tre elementi teorici forti, che nel contesto storico attuale vanno considerati, rimeditati e approfonditi: innanzitutto la critica radicale alla sacralizzazione dello Stato moderno; poi la distinzione fra un’accezione statalistica e «giacobina» della democrazia e una più profonda nozione di popolo inteso come entità non indifferenziata ma naturalmente articolata e strutturata; infine, la riflessione approfondita sulla nozione di «insorgenza», intesa non come cieco moto antimoderno, ma come «legge storica» della periodica spinta al riequilibrio fra società e potere, nel senso della riaffermazione della società naturale contro la distorsione portata dall’ideologia. Quest’ultimo aspetto del suo pensiero, in particolare, ha concluso Capozzi, si sviluppa nella fase più matura della sua opera come la teorizzazione del fondamento di un nuovo conservatorismo occidentale nell’epoca successiva alla Guerra Fredda, dominata dalla «Rivoluzione culturale» del progressismo relativista.
In conclusione, ha preso la parola il reggente nazionale di Alleanza Cattolica, Marco Invernizzi, esordendo con un ricordo personale del saggio cantoniano L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, «una sorta di scintilla che mi permise di riaccendermi e di ripartire. Mi sentivo, infatti, in quel tempo travagliato, i primi Anni Settanta, come un “motore fuso” perché, pur stando dall’altra parte della barricata, avevo subìto in pieno gli effetti nefasti del Sessantotto: quella “rivoluzione antropologica” aveva colpito tutti, a sinistra come a destra, incidendo sulle convinzioni profonde, sugli stili di vita e sulle motivazioni di fondo dell’esistenza. Certo, mi ero convertito e avevo finalmente ritrovato la fede e la vita di preghiera dell’infanzia, ma affinché questo ritorno, questa “restaurazione” diventasse cultura, cioè un progetto di vita non solo personale e che riguardasse la società intera, ci voleva dell’altro. E quel testo contribuì in maniera importante alla realizzazione di una conversione “anche sociale”».
Invernizzi ha quindi accennato alla divisione dei cattolici in politica, causata, secondo il filosofo Augusto Del Noce (1910-1989), da una differente lettura della storia italiana, a riprova dell’esattezza del detto cantoniano «chi sbaglia storia sbaglia politica», e ha ricordato l’insistenza con cui il Fondatore proponeva tutto il magistero sociale — non solo l’enciclica Rerum novarum — di Papa Leone XIII (1878-1903). «La dottrina sociale della Chiesa non può essere ridotta a un solo aspetto, perché riguarda sì l’economia, ma anche lo Stato, la famiglia, la proprietà e il lavoro: oggi diremmo che tocca i problemi legati alla difesa della vita innocente in tutti i suoi momenti, come pure il nuovo fronte dei problemi relativi al creato, che va salvaguardato e non sfruttato amoralmente».
Ha concluso con una notazione sul conservatorismo — «nostalgia del futuro» e certamente non teso a restaurare il passato — e sulla funzione pre-politica di Alleanza Cattolica: «Cantoni oggi in questa sala ci direbbe di non indugiare troppo sui suoi scritti e in generale sul passato, bensì di guardare avanti e di costruire il futuro. A noi non viene chiesto di costruirlo politicamente, ma di aiutare la formazione di quegli uomini che forse potranno farlo domani o, più probabilmente, dopodomani. Cantoni era solito impiegare ore e ore per parlare con una sola persona, come se da questa dipendesse il futuro del mondo, facendole capire la sua importanza e la sua unicità. Facciamo così anche noi, ciascuno al suo posto di combattimento, senza nessuna pretesa che il mondo capisca, ma con la certezza che Chi deve capire ce lo sta suggerendo, qui e ora».