Pietro Galignani, Cristianità n. 429 (2024)
Ancora una volta l’accurata e precisa ricerca storica di Giovanni Codevilla — per quarant’anni docente di Diritto dei Paesi dell’Europa Orientale e Diritto Ecclesiastico Comparato nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Trieste — aiuta il lettore a orientarsi negli eventi che caratterizzano il mondo russo, il quale mostra con orgoglio un soprabito di taglia europea ma sotto mantiene l’abito della steppa asiatica. L’ingresso dei carri armati russi nel territorio dell’Ucraina, nel 2022, ha preso alla sprovvista e inquietato l’opinione pubblica. L’Autore rilegge con pazienza e con metodo gli ultimi cento anni della storia russa per mostrare le radici e i motivi di questa guerra, che ha tolto all’Europa l’illusione di essere con il suo progetto politico un’oasi felice immune dai contrasti e dalle catastrofi degli altri continenti.
Offrendo una narrazione piana e attraente, più semplice e più scorrevole della sua monumentale opera storica sulla Storia della Russia e dei Paesi limitrofi. Chiesa e Impero (con un saggio di Stefano Caprio, 4 voll., Jaca Book, Milano 2016; su cui cfr. la recensione di Marco Invernizzi in Cristianità, anno XLV, n. 383, gennaio-febbraio 2017, pp. 75-77), mostra in modo chiaro come si intrecciano anche in quest’ultimo secolo le forze politiche e religiose che mettono in movimento una società estremamente complessa, la quale pretende di essere migliore della civiltà europea che imita, ma non condivide.
In quarantanove brevi capitoli documenta lo scontro drammatico fra politica e religione, fra lo Stato e la Chiesa Ortodossa, due poteri che non possono eliminarsi a vicenda perché sono sempre, anche se in modi diversi, due volti di un’unica autorità. Questa concezione sinfonica dei poteri trovò la sua prima formulazione nella Praefatio alla Sesta Novella dell’imperatore d’Oriente Flavio Giustiniano (482-565), indirizzata dopo il 534 a Epifanio (V secolo-535), archiepiscopus contantinopolitanus, e divenne il fondamento del rapporto fra Chiesa e Impero. Basandosi su di essa, queste due strutture a Bisanzio e anche in Russia non furono due istituzioni distinte, bensì due aspetti della medesima nozione, una e indivisibile, che nel pensiero politico e teologico restano inseparabili.
In questo rapporto fra l’organizzazione dello Stato e della Chiesa appare del tutto naturale che sia l’imperatore a legiferare in materia ecclesiastica, a convocare i concili e ad approvarne le decisioni. La Chiesa, da parte sua, dà disposizioni di carattere squisitamente politico e amministra la giustizia civile. Senza questa considerazione diventa impossibile comprendere fino in fondo tutto lo sviluppo storico dell’autorità nella Santa Romana Repubblica.
Nell’epoca dell’impero sovietico il potere comunista fin dall’inizio cercò di soffocare e annientare nel sangue la Chiesa russa, che durante la rivoluzione si era liberata dal dominio dei procuratori imperiali e aveva restaurato il patriarcato, rimasto vacante dall’anno 1700. Il Concilio della Chiesa Russa, inaugurato durante il governo di Aleksandr Fëdorovič Kerenskij (1881-1970), il 28 ottobre 1917 aveva decretato la restaurazione del patriarcato. In seguito, il 5 novembre, venne eletto il patriarca Tichon (al secolo Vasilij Ivanovič Bellavin, 1865-1925), il quale si oppose coraggiosamente agli sforzi di Vladimir Il’ič Ul’janov «Lenin» (1870-1924) e dei suoi commissari per sradicare la religione e l’organizzazione ecclesiastica.
Alla morte di Tichon venne rimandata sine die l’elezione del successore. Iosif Vissarionovič Džugašvili «Stalin» (1878-1953) si accorse che era più vantaggioso politicamente permettere l’elezione di un nuovo patriarca — venne eletto il 2 febbraio 1945 Sergej Vladimirovič Simanskij (1877-1970) — e instaurare rapporti nuovi con la Chiesa, che supportava l’estremo sforzo della Grande Guerra Patriottica contro il nazismo. E così «[…] in cambio della riapertura di edifici di culto e di monasteri e di un allentamento della repressione [la Chiesa] si pone al suo servizio sia nella politica interna (invitando i fedeli a votare per il blocco comunista, poiché in nessun paese la Chiesa gode di “condizioni favorevoli come nell’URSS”), come nella politica estera, dedicandosi anch’essa al culto spudorato della personalità di Stalin» (p. 231).
Come risulta evidente dal prosieguo degli eventi, anche se in una forma drammaticamente conflittuale e aderente alla situazione instaurata dallo Stato sovietico, si ripresenta il principio della sinfonia. Tale principio mostrò in Russia il suo volto maturo nel 1589 con l’istituzione del patriarcato di Mosca, avvenuta in palese violazione delle norme canoniche. Esso, come già detto, consiste nel fatto che nella società cristiana russa una sola è l’autorità, che ha due volti: lo zar e il patriarca. Al primo compete ogni autorità per organizzare tutti gli aspetti della compagine sociale e politica, compreso il sostegno allo sforzo missionario per diffondere il cristianesimo secondo la tradizione russa. Al patriarca, invece, è affidato il potere di educare alla fede la società e di avviarla a testimoniare la vita cristiana. Proprio facendo leva su questo principio, presente in tutta la storia della Russia e rinnovato in qualche modo all’epoca di Stalin, Codevilla legge gli eventi dell’età putiniana.
Dopo lo scioglimento dell’URSS due personaggi emersero dalla confusa situazione che si era formata in Russia dopo il governo di Boris Nikolaevič El’cin (1931-2007). Vladimir Putin riuscì ad affermare e a consolidare il proprio potere personale sostenuto dal nuovo patriarca Kirill (Vladimir Michajlovič Gundjaev). Secondo l’acuta e documentata analisi di Codevilla le due colombe (golubčiki) attraverso l’esercizio della sinfonia si ripropongono di attuare l’ideale russo di Mosca come Terza Roma.
Tale idea nasce all’epoca del gran principe di Mosca Ivan III Vasil’evič (1440-1505), che aveva sposato nel 1467 Zoé (rinominata Sof’ja), figlia del fratello dell’ultimo basileus Costantino XII Paleologo (1405-1453). Questo matrimonio autorizzò Ivan III a usare i simboli bizantini imperiali, in particolare l’aquila bicipite, a fregiarsi del titolo di erede dell’Impero bizantino e a porre le basi della teoria politica della Terza Roma e della translatio imperii ad Russos.
Qui sta la radice di tutto il messianismo russo, sviluppatosi con particolare vigore nella cultura russa fra il secolo XIX e il XX. In esso si diffuse la convinzione, espressa con diversi accenti e varie sfumature, che il popolo russo ha il compito di promuovere la fratellanza universale e la salvezza spirituale fra tutti i popoli. Sente la vocazione rinnovatrice del popolo russo all’interno della fede ortodossa in contrapposizione al cattolicesimo e al protestantesimo.
La Chiesa russa promuove la diffusione del cristianesimo attraverso l’attuazione e la diffusione dell’impero russo, che oggi dinamicamente aspira a ricuperare tutti i territori che appartenevano all’Unione Sovietica e a rinnovare e a incrementare la sua influenza sui territori confinanti e ad esso legati tradizionalmente.
Si spiegano in questo modo le aspirazioni e i programmi di Kirill e di Putin. Si è naturalmente portati a pensare che Putin, ex militare russo, già funzionario del KGB, primo ministro e attuale presidente della Russia, sia l’uomo forte che progetta e promuove l’evoluzione del nuovo Stato. Risulta, invece, che è proprio Kirill ad aver dato a Putin una motivazione, un ideale che prima neanche sospettava, per perseguire una politica di potenza.
Scrive, infatti, Codevilla: «Non è, dunque, casuale che il Patriarca Kirill ami ribadire che la Chiesa è elemento costitutivo dello Stato (gosustanovitel’naja), con un evidente richiamo alla Russia medievale e alla figura del santo Iosif di Volokolamsk, ideologo del monachesimo di san Sergij di Radonež, ossia del monachesimo che edifica lo Stato.
«Si ricostituisce in tal modo lo schema giurisdizionalista: lo Stato ritorna a essere un brachium seculare, un istrumentum salvationis e la Chiesa, alla quale viene garantito uno ius protectionis, si pone come instrumentum regni a garanzia della stabilità politica» (p. 398).
Pensare che la politica di potenza esercitata da Putin abbia come unica motivazione ideologica il comunismo sovietico è interpretare in modo preconcetto gli eventi, rinchiudendoli nello schema di una reazione contro il nazionalsocialismo. È impossibile credere che il comunismo sia base solida del nuovo assolutismo e nuovo imperialismo. Infatti, osserva ancora Codevilla, nella dottrina marxista-leninista la Chiesa è vista come un mero strumento di cui si serve la classe dominante.
Il lavoro è impreziosito da una nota introduttiva di don Stefano Caprio, studioso appassionato della storia della Chiesa russa — La Chiesa russa da Tichon a Kirill (pp. 17-47) —, dedicata alle figure dei patriarchi russi succedutisi a partire dal 1917. In essa si pone in evidenza come il kirillo-putinismo ha raggiunto il suo scopo, che non è tanto la conquista delle terre ucraine, ma la disintegrazione dell’odiato ordine mondiale chiamato «globalizzazione». In ciò si riassume l’idea del Russkij mir, ossia del Mondo russo, la quale si propone e impone di portare al mondo giustizia e verità sulla scia dell’imperialismo ortodosso espresso nella dottrina della Terza Roma.
Pietro Galignani