
Aspettiamo qualcuno che sappia raccontare davvero le donne
di Francesca Morselli
C’era un tempo in cui i cinefili aspettavano con trepidante attesa la notte degli Oscar per vedere se il film cosi amato avesse avuto o meno il meritato riconoscimento, o per sapere quale pellicola fosse assolutamente da vedere nei giorni successivi per poterla poi commentare o criticare, certi che comunque sarebbe stata un’opera meritevole. Quel tempo purtroppo sembra finito. Non lo dico per una nostalgica passione per le pellicole vecchie, ma per il semplice motivo che i film, quelli davvero belli, sono difficilissimi da trovare e sicuramente non si trovano tra i film premiati al recente Oscar.
Anche l’ultima edizione della consegna della famosa statuetta mi ha lasciato, e spero non solo a me, l’amaro in bocca. Fatto passare come il “Pretty woman” contemporaneo (Garry Marshall, 1990), e già di quell’opera non sentivamo la mancanza, Anora, oltre al premio come miglior film, ha ottenuto riconoscimenti anche per la regia di Sean Baker e per l’interpretazione di Mikey Madison come migliore attrice protagonista. Il film ha ricevuto, inoltre, diversi premi e nomination, tra cui la Palma d’Oro, ed è stato pure acclamato dalla critica.
Anora è stato accolto come un film potente e provocatorio, capace di suscitare riflessioni importanti sulle dinamiche di classe e sulle disuguaglianze sociali, ma anche un’importante riflessione sui “lavori” a carattere sessuale, visti nella loro normale quotidianità (!). Il quotidiano The Guardian ha spiegato che il film «è stato proposto come un segnale che la società sta compiendo un altro passo verso la normalizzazione del lavoro sessuale».
il regista Sean Baker ha spiegato infatti che con Anora voleva «rimuovere lo stigma che è stato posto sul lavoro sessuale. È un lavoro, è una carriera, è un modo per sostentarsi, e dovrebbe essere rispettato». Per cui l’intento del regista era dichiarato e probabilmente la commissione giudicatrice, inclusi attori, produttori, registi e una varietà di altri artigiani del cinema, hanno scelto questo film consapevolmente. Questo ci fa anche capire quale sia stato l’intento della Commissione.
Il film racconta senza filtri, con molto realism, e con rappresentazione esplicita della sessualità, le vicende di una cosiddetta “sex worker” nelle sue “normali” ore di lavoro, fino a quando trova, nel locale dove è impiegata come danzatrice erotica, il rampollo di un ricco magnate russo con cui vivere una storia da “Cenerentola”. La rappresentazione della sessualità nel film appare eccessiva e gratuita. La prima mezz’ora ci propone la vita della ragazza tra invidie e gelosie con le colleghe, per poi continuare con uno sguardo ravvicinato e realistico, nella casa del ragazzo russo, tra amplessi, alcool e droghe. Dal punto di vista narrativo risulta a volte lento e ripetitivo, proponendo un tema già altre volte affrontato. La narrazione si fa più movimentata quando entrano in gioco i “gorilla” del padre del ragazzo, che, attraverso una serie di episodi surreali, tentano di allontanare la ragazza dal figlio del magnate. Non riuscendoci, toccherà a mamma e papà russi intervenire e, senza neppure lottare col figlio, che si è già dimenticato “il grande amore”, rimanderanno Anora da dove è venuta, facendo così crollare il suo sogno di vita danarosa ed effimera. Nel finale uno dei “gorilla” del padre, compatendo Anora, cercherà di salvarla dal suo mondo notturno e squallido, proponendosi come alternativa per riportarla, forse, ad un mondo reale.
In Anora vediamo la violenza insita nello sfruttamento del corpo femminile. Pur consenziente, il mondo delle “sex workers” non rivendica di certo nessuna libertà del corpo e della vita della donna, che, anzi, sembra imprigionata nell’industria dell’usa e getta dei corpi femminili. La donna è ridotta a puro corpo e gli uomini che compaiono (a parte il body Guard del magnate, che cerca poi di darle un’alternativa di vita) sono figure fanciullesche, viziose e superficiali.
Se questo è il film premiato all’unisono, si capisce come lo scopo di tanta ovazione per un’opera cinematografica, che non ha nulla di edificante ed interessante da raccontare, stia proprio nel voler sdoganare un mondo e uno stile di vita convincendoci che anche il commercio del corpo ha una sua dignità e lo si può sfruttare per ottenere quel denaro che serve per ottenere alcool, droga o qualche altro paradiso artificiale. Il finale del film, che poteva essere un’occasione per risollevare le sorti della ragazza, viene ridotto ad un momento sospeso su cui non si vuole spendere troppe parole (ed immagini) e non propone aperture a prospettive alternative.
Da parte nostra, lasciamo senza alcun rimpianto Anora ad Hollywood e continuiamo a coltivare il sogno di un mondo in cui la persona sia rispettata nella sua totalità e in cui le relazioni siano basate non sulla mercificazione del corpo, ma sull’amicizia e sull’amore, e aspettiamo qualcuno capace di raccontarlo con arte sul grande schermo.
Sabato, 15 marzo 2025