di Marco Invernizzi
La polemica dei media contro il governo italiano in tema di immigrazione è strumentale. Ricorda quanto avvenne nella prima metà del 1800, quando Karl Marx (1818-1883), il “padre” del comunismo, individuò nel “proletariato” lo strumento pratico che andava cercando per operare la rivoluzione collettivista. In seguito alla cosiddetta “rivoluzione industriale” ‒ o, meglio, alle “rivoluzioni industriali” succedutesi, a diverse riprese, tra la metà del secolo XVIII e la fine del secolo XIX ‒, che spinse moltissimi contadini dell’Europa Settentrionale a cambiare lavoro andando nelle fabbriche delle nuove città industriali, si venne a creare una nuova classe di sfruttati, senza alcuna forma di difesa contro chi li faceva lavorare per troppe ore, compresi donne e bambini, pagandoli pure pochissimo. Erano la massa ideale, disperata e piena di rancore, per la rivoluzione comunista. Oggi alcune forze politiche cercano di ripetere l’operazione usando la disperazione di chi fugge dalle guerre o cerca migliori sistemazioni economiche. L’obiettivo è trasformare quei “diseredati” in una massa capace di compiere una rivoluzione, e questo attraverso la concessione del diritto di voto e pure di spazi per una possibile militanza politica che sostituisca quella degli italiani ormai lontani dai partiti della Sinistra.
Nel 1800, la Chiesa Cattolica non cadde nel tranello della dialettizzazione e offrì agli operai sfruttati una via d’uscita esposta nella lettera enciclica Rerum novarum, pubblicata da Papa Leone XIII (1810-1903) nel 1891, per denunciare contemporaneamente nel socialismo un male peggiore di quello che avrebbe voluto curare. Gli operai e le loro famiglie andavano anzitutto aiutati così come oggi vanno aiutati i migranti, poveri come pochi, spesso illusi con il miraggio del benessere e in realtà gettati, come accade sempre più spesso, nella concorrenza con i poveri italiani. Bisogna allora evitare anche oggi di cadere nella trappola che vede nel migrante solo un problema o addirittura un nemico, quando invece, nella gran parte dei casi ‒ e salvi sempre i tentativi di ingresso o di reingresso attuati per commettere reati o persino gesti terroristici ‒, si tratta di vittime, e contemporaneamente denunciare con forza chi li porta nei nostri Paesi, chi li sfrutta e chi sui loro dolori organizza campagne di odio di classe nel nome dell’antirazzismo.
Per fortuna esiste ancora un po’ di buon senso, forse anche di senso comune. Le persone intuiscono che integrare è cosa seria e complessa, che a ogni persona va offerto aiuto, anzitutto se siamo cristiani, ma non meno come cittadini che hanno ricevuto di più dei disperati che spesso ci si trova di fronte. Tuttavia, la medesima gente che aiuta quegli sfortunati capisce anche che un popolo non può vivere sempre in emergenza, che integrare non significa abbandonare le proprie radici e l’identità culturale, che fra chi arriva bisogna discernere e selezionare perché frammezzo ci sono anche terroristi e predicatori d’odio. E quella stessa gente capisce che l’Italia è sola in Europa, abbandonata a se stessa da Stati ricchi e potenti che non vogliono nessun migrante entro i propri confini, salvo essere disponibili a combattere battaglie piene solo di nobili parole per i diritti di quei migranti che non accolgono.
Quindi gli italiani apprezzino la fermezza del nuovo governo su questo punto, che null’altro è se non un richiamo all’Unione Europea e agli Stati con noi confinanti affinché smettano le campagne moralizzatrici a spese dei sacrifici di chi finora ha portato fisicamente il peso dell’immigrazione. E, soprattutto, gli italiani ricordino che qualcuno sta barando con la questione immigratoria, e che si tratta degli eredi di chi già ha barato sulla questione operaia nel secolo XIX provocando gli oltre 100 milioni di morti mietuti dal “socialismo reale” nei cento e più anni successivi.
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