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Il grido del pane quotidiano

28 Marzo 2019 - Autore: Michele Brambilla

Pane Quotidiano

Di Michele Brambilla

All’udienza del 27 marzo Papa Francesco prosegue la spiegazione del Padre nostro passando a quella che chiama “seconda parte” della preghiera, «[…] quella in cui presentiamo a Dio le nostre necessità. Questa seconda parte comincia con una parola che profuma di quotidiano: il pane», inteso come «[…] frutto della terra e del lavoro dell’uomo», come recitano le preghiere dell’offertorio della Messa.

Il Pontefice sottolinea che «la preghiera di Gesù parte da una domanda impellente, che molto somiglia all’implorazione di un mendicante: “Dacci il pane quotidiano!”. Questa preghiera proviene da un’evidenza che spesso dimentichiamo, vale a dire che non siamo creature autosufficienti, e che tutti i giorni abbiamo bisogno di nutrirci». Tuttavia oggi non sono pochi gli uomini privati di questo diritto fondamentale: l’assunto spiega sia perché il Santo Padre abbia utilizzato la similitudine del mendicante, sia il tenore di molte domande che vengono rivolte a Gesù nei Vangeli.  

«Le Scritture», infatti, «ci mostrano che per tanta gente l’incontro con Gesù si è realizzato a partire da una domanda. Gesù non chiede invocazioni raffinate, anzi, tutta l’esistenza umana, con i suoi problemi più concreti e quotidiani, può diventare preghiera. Nei Vangeli troviamo una moltitudine di mendicanti che supplicano liberazione e salvezza», sia terrena sia ultraterrena. «Gesù non passa mai indifferente accanto a queste richieste e a questi dolori».

«Dunque», osserva il Papa, «Gesù ci insegna a chiedere al Padre il pane quotidiano. E ci insegna a farlo uniti a tanti uomini e donne per i quali questa preghiera è un grido – spesso tenuto dentro – che accompagna l’ansia di ogni giorno». Se ne deduce che «il pane che il cristiano chiede nella preghiera non è il “mio” ma è il “nostro” pane. Così vuole Gesù. Ci insegna a chiederlo non solo per sé stessi, ma per l’intera fraternità del mondo. Se non si prega in questo modo», Francesco giunge a dire che «il “Padre nostro” cessa di essere una orazione cristiana. Se Dio è nostro Padre, come possiamo presentarci a Lui senza prenderci per mano? Tutti noi. E se il pane che Lui ci dà ce lo rubiamo tra di noi, come possiamo dirci suoi figli?».

Si arriva quindi a una seconda deduzione: «questa preghiera contiene un atteggiamento di empatia, un atteggiamento di solidarietà. Nella mia fame sento la fame delle moltitudini, e allora pregherò Dio finché la loro richiesta non sarà esaudita. Così Gesù educa la sua comunità, la sua Chiesa, a portare a Dio le necessità di tutti». Se si viene meno al precetto della carità «il pane che chiediamo al Signore nella preghiera è quello stesso che un giorno ci accuserà. Ci rimprovererà la poca abitudine a spezzarlo con chi ci è vicino, la poca abitudine a condividerlo. Era un pane regalato per l’umanità, e invece è stato mangiato solo da qualcuno: l’amore non può sopportare questo». Per redimere ogni ingiustizia Cristo per primo si è fatto pane, il Pane eucaristico, che dell’umanità sazia anche la domanda di senso. «Infatti, solo l’Eucaristia è in grado di saziare la fame di infinito e il desiderio di Dio che anima ogni uomo», insita «anche nella ricerca del pane quotidiano».   

Giovedì, 28 marzo 2019

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Info Michele Brambilla

Michele Brambilla, celibe, di professione insegnante, nasce il 21 aprile 1987 a Monza (MB). Consegue la laurea specialistica in Lettere il 10 luglio 2013 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il 22 novembre 2017 quella triennale in Scienze religiose presso l’Istituto di Scienze Religiose “Paolo VI” di Milano, con indirizzo pedagogico. Conosce Alleanza Cattolica da adolescente, nel suo ambiente parrocchiale d’origine, e diventa militante nel marzo 2017. Già nel 2012 comincia a collaborare al sito regionale lombardo di AC, Comunità Ambrosiana, per approdare poi, dopo la promessa di militanza, su quello nazionale: su entrambi cura principalmente pagine dedicate al Magistero papale ed episcopale.

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