Da AsiaNews del 19/02/2024
Milano (AsiaNews/Agenzie) – “È un affare interno della Russia. Non ho commenti da fare”. Con queste parole l’ufficio del portavoce del ministero degli Esteri della Repubblica popolare cinese ha risposto l’altro giorno a una domanda dell’agenzia Afp sulle reazioni di Pechino alla morte in carcere di Aleksej Navalnyj. Una risposta che non sorprende alla luce dell’”amicizia senza limiti” tra i due Paesi proclamata giusto due anni fa a Pechino da Xi Jinping e Vladimir Putin. Ma è anche un utile pro-memoria di quanto il trattamento dei prigionieri politici sia “un affare interno” su cui neppure Pechino tollera intrusioni.
Vale per la Cina continentale da dove proprio in queste ore è giunta la notizia dell’arresto di Mao Shanchun, un cittadino della provincia dell’Hubei che – citando alcuni diritti affermati dalla costituzione della Repubblica popolare cinese – aveva depositato a Pechino la domanda per dare vita a una sezione cinese di Human Rights Watch. Ma – dopo la stretta imposta in seguito alle manifestazioni pro-democrazia del 2019 – la questione dei prigionieri politici riguarda pesantemente anche Hong Kong. Il caso più noto è quello di Jimmy Lai, l’editore del quotidiano Apple Daily portato alla chiusura nel 2021, attualmente a giudizio in un processo da cui sta emergendo come qualsiasi parola o gesto possa essere utilizzato come prova di “cospirazione straniera” ai sensi della Legge sulla sicurezza nazionale. Jimmy Lai è un uomo di 76 anni da più di tre anni in carcere. E suo figlio Sebastian ha più volte sollevato preoccupazioni sulla sua salute, esprimendo apertamente il timore che possa morire dietro le sbarre.
Ma il suo è solo il caso più evidente delle centinaia di Navalnyj che oggi sono detenuti a Hong Kong. Secondo l’aggiornamento dei dati fornito l’8 febbraio scorso dall’Hong Kong Democracy Council attualmente sono 1788 i prigionieri politici nelle carceri di Hong Kong. Ed è un numero che continua ad aumentare: 24 sono le persone che sono finite in carcere solo nelle prime settimane del 2024, mentre 483 erano state quelle dell’intero 2023, e 376 nel 2022.
In questi giorni uno dei più noti siti dei dissidenti cinesi in esilio – Beijing Spring – ha accostato apertamente la morte di Navalnyj a quelle del premio Nobel per la pace Liu Xiaobo, consumato dalla malattia nel 2017 nelle carceri cinesi, e di Peng Ming, attivista cristiano condannato all’ergastolo e morto in prigione nell’Hubei l’anno precedente. “La Russia non ha lo stesso controllo onnipresente sul popolo della Cina – si legge in un articolo firmato da Chen Weijian -. Ma l’omicidio di Navalnyj da parte di Putin è esattamente identico all’omicidio di Liu Xiaobo, Peng Ming e altri dissidenti imprigionati da parte del Partito comunista cinese. In una società cinese senza voti – aggiunge ancora – Xi Jinping sostiene che la democrazia cinese sia una ‘democrazia integrale’ superiore a quella occidentale. In Russia, Putin ha assassinato e imprigionato i leader dell’opposizione e utilizza i cosiddetti mezzi legali per vietare ai personaggi dell’opposizione di candidarsi alle elezioni, tenendo così elezioni senza oppositori e pretendendo di dimostrare che il Paese è democratico. Ma ciò che è falso è sempre falso, e la finzione non lo farà avverare”.