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I figli che vanno nella vigna

27 Settembre 2020 - Autore: Michele Brambilla

Come dice il Papa, commentando la pagina di Mt 21,28-32, «l’obbedienza non consiste nel dire “sì” o “no”, ma sempre nell’agire, nel coltivare la vigna, nel realizzare il Regno di Dio».

di Michele Brambilla

Il forte maltempo che cala sull’Italia centrale domenica 27 settembre strappa a Papa Francesco, affacciato su piazza S. Pietro per l’Angelus, una battuta di origine argentina: «nella mia terra si dice: “A tempo brutto buona faccia”. Con questa “buona faccia” vi dico: buongiorno». Venendo alla liturgia della XXVI domenica del Tempo ordinario, il Santo Padre sottolinea che «con la sua predicazione sul Regno di Dio, Gesù si oppone a una religiosità che non coinvolge la vita umana, che non interpella la coscienza e la sua responsabilità di fronte al bene e al male. Lo dimostra anche con la parabola dei due figli, che viene proposta nel Vangelo di Matteo (Mt 21,28-32)».

«All’invito del padre ad andare a lavorare nella vigna», infatti, «il primo figlio risponde impulsivamente “no, non ci vado”, ma poi si pente e ci va; invece il secondo figlio, che subito risponde “sì, sì papà”, in realtà non lo fa, non ci va». Il Pontefice coglie dalla parabola un insegnamento molto importante: «l’obbedienza non consiste nel dire “sì” o “no”, ma sempre nell’agire, nel coltivare la vigna, nel realizzare il Regno di Dio, nel fare del bene. Con questo semplice esempio, Gesù vuole superare una religione intesa solo come pratica esteriore e abitudinaria, che non incide sulla vita e sugli atteggiamenti delle persone».

Gli esponenti di questa religiosità disincarnata, all’epoca di Gesù, erano soprattutto i farisei: è per questo che «Gesù dice loro: “Saranno i pubblicani, cioè i peccatori, e le prostitute a precedervi nel Regno dei cieli”». Il Papa avverte la necessità di una precisazione: «questa affermazione non deve indurre a pensare che fanno bene quanti non seguono i comandamenti di Dio, quelli che non seguono la morale, e dicono: “Tanto, quelli che vanno in Chiesa sono peggio di noi!”. No, non è questo l’insegnamento di Gesù. Gesù non addita i pubblicani e le prostitute come modelli di vita, ma come “privilegiati della Grazia”»: una volta convertiti, gusteranno pienamente la dolcezza della misericordia del Signore. Il peccato del fratello non può diventare una scusante per me stesso: la chiamata alla conversione non ammette eccezioni, né giustificazioni di comodo! Come ribadisce il Pontefice, «nel Vangelo di oggi, chi fa la migliore figura è il primo fratello, non perché ha detto “no” a suo padre, ma perché dopo il “no” si è convertito al “sì”, si è pentito. Dio è paziente con ognuno di noi: non si stanca, non desiste dopo il nostro “no”», ci attende sempre a braccia aperte.

Recitata la preghiera mariana, il Papa aggiunge un appello per Armenia e Azerbaijan, tra le quali in queste ore si è riaccesa un’antica contesa territoriale: «sono giunte preoccupanti notizie di scontri nell’area del Caucaso. Prego per la pace nel Caucaso e chiedo alle parti in conflitto di compiere gesti concreti di buona volontà e di fratellanza, che possano portare a risolvere i problemi non con l’uso della forza e delle armi, ma per mezzo del dialogo e del negoziato».

Francesco ricorda la concomitanza della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che egli ha voluto dedicare «[…] agli sfollati interni, i quali sono costretti a fuggire, come capitò anche a Gesù e alla sua famiglia», ma ricorre anche la Giornata mondiale per il turismo, un settore particolarmente provato dalla pandemia: «rivolgo il mio incoraggiamento a quanti operano nel turismo, in particolare alle piccole imprese familiari e ai giovani. Auspico che tutti possano presto risollevarsi dalle attuali difficoltà».

Lunedì, 28 settembre 2020

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