di Étienne Perrot, dalla Civiltà Cattolica – Quaderno 4118, pag. 157 – 166, Anno 2022, Volume I, 15 Gennaio 2022
Nel capitalismo moderno, la triplice esigenza contraddittoria di razionalità, performance e sicurezza favorisce una tendenza apparentemente irresistibile. Questa corrente conduce il sistema verso la scomparsa del denaro contante. Si tratta di eliminare banconote e moneta di piccolo taglio in metallo (detta «moneta divisionale»), che gonfiano i portafogli e appesantiscono le tasche. Nella logica capitalista, che promuove la performance del sistema di pagamento come per tutto il resto, questi mezzi materiali pesanti e costosi per gli istituti bancari lasciano in gran parte il posto agli strumenti digitali: carte di credito, carte di pagamento, internet o applicazioni informatiche integrate nei telefoni cellulari. I fautori di un’economia razionale, produttivista e sicura vogliono incoraggiare questa dematerializzazione, al punto da desiderare una società senza contanti.
Essi sono sostenuti da alti funzionari, sia internazionali sia nazionali. Christine Lagarde, ex direttrice del Fondo monetario internazionale (Fmi) e attuale presidente della Banca centrale europea (Bce), Michel Sapin, commissario europeo, e William White dell’Ocse, per non parlare degli aficionados del Forum di Davos, vedono negli scambi senza contanti il futuro delle economie di mercato. In un rapporto del Comité Action Publique 2022 (Cap 2022)[1], tecnocrati, dirigenti d’azienda, economisti e alti funzionari hanno già manifestato da diversi anni la loro volontà di andare verso una società zero cash. In breve, questi tecnocrati sostengono che eliminare gradualmente la circolazione del contante semplificherà i pagamenti. Affermano che la società senza contanti corrisponderebbe allo «stile di vita già raccomandato da tutti» e permetterebbe una lotta più efficace contro le frodi e la criminalità organizzata.
Risultati più sfumati
Pretendere che la scomparsa del contante sia sostenuta da tutti è una conclusione affrettata, generalizzando l’opinione forse maggioritaria. Peggio ancora, significa confondere l’ideale tecnocratico con il bene comune di tutti, in particolare delle popolazioni più fragili. In Europa, l’87% degli intervistati afferma di utilizzare ancora il contante presso i piccoli commercianti, e il 72% nei distributori automatici. Inoltre, l’83% degli intervistati si dichiara «preoccupato per la scomparsa del contante». Questo sentimento è condiviso da quelli che utilizzano quotidianamente questo metodo di pagamento (87%), ma anche – ciò che è più interessante – da coloro che preferiscono i pagamenti dematerializzati (73%). Ad ogni modo, in nome della frode e della criminalità organizzata, la Commissione europea ha già ottenuto dalla Banca centrale europea l’abbandono della banconota da 500 euro nell’autunno del 2021 (nello stesso momento in cui la Svizzera faceva circolare una nuova banconota da 1.000 franchi svizzeri, circa 930 euro).
La spiegazione di queste visioni contrastanti è complessa. Le varie forme monetarie, infatti, riflettono le diverse sensibilità della società. Il capitalismo liberale, nella sua logica di un rendimento sempre più rapido degli investimenti, ha privilegiato le forme che circolano più rapidamente: prima oggetti o metalli preziosi, che hanno in sé un grande valore in un piccolo volume; poi la cartamoneta più leggera; e, ancora più leggere, le voci nel passivo dei bilanci delle banche, le annotazioni elettroniche che sono alla base della cosiddetta «moneta scritturale» e per i trasferimenti di fondi con mezzi digitali, fino alle transazioni automatiche. Questa logica in effetti rende tecnicamente obsolete – ma non socialmente inutili – le forme più datate, come la moneta divisionale (moneta spicciola) e la moneta fiduciaria (banconote).
In effetti, l’evoluzione tecnica relativa ai supporti monetari giustifica l’annuncio dell’imminente scomparsa del contante. Sulla stampa appaiono ripetutamente articoli che segnalano tale scomparsa progressiva, o che addirittura la esaltano. Allo stesso modo, sono messi in evidenza i malfunzionamenti degli sportelli automatici, anche la loro violazione elettronica, dimenticando che l’appropriazione indebita di carte bancarie e i bug informatici nei pagamenti elettronici sono eventi più numerosi e con conseguenze ben più gravi.
Il paradosso rivelato dalla pandemia
I tecnocrati non hanno notato che dietro la diminuzione dell’uso del contante nelle transazioni commerciali si nascondono pratiche sociali e culturali che vanno nella direzione opposta. Così, dall’inizio del 2020, la pandemia, che, da una variante all’altra, non smette di preoccupare, ha provocato un doppio effetto contraddittorio. Da una parte, il timore della trasmissione del virus attraverso il contatto con la cartamoneta e le monete metalliche ha rafforzato i pagamenti elettronici (o senza contatto) nei negozi e ai distributori automatici, entro un limite di 30 euro a partire dal 2017, portato a 50 euro dal maggio 2020, durante il primo lockdown. Alcuni negozianti hanno persino esposto con orgoglio, come spesso accade negli Stati Uniti, la scritta no cash.
D’altra parte, la pandemia non ha neutralizzato l’interesse per il denaro contante, tutt’altro. Nel 2020 la Banca centrale europea ha emesso 141 miliardi di euro di nuove banconote (+11% in un anno). Questo porta la moneta fiduciaria in circolazione in Europa alla vertiginosa cifra di 1.435 miliardi di euro. Tale paradosso – aumento dei pagamenti elettronici o senza contatto, unito a un aumento dell’interesse per i contanti – può essere spiegato, secondo la Bce, con «l’attaccamento alle riserve di contanti in tempi difficili». Questo fenomeno ci ricorda che in economia, come in tutta la storia sociale e politica, i sentimenti e le sensibilità culturali formano un insieme. Si tratta di un fenomeno sociale globale, come dicono gli studiosi, quello che il grande economista austriaco Joseph Schumpeter aveva perfettamente diagnosticato fin dal 1911 nelle frasi iniziali della sua Teoria dello sviluppo economico: «Il divenire sociale è un fenomeno unitario. Nella sua grande corrente, la mano ordinatrice dell’indagatore rileva forzatamente i fatti economici»[2].
Infatti, come tutti i fenomeni sociali, l’uso del contante, la frode e la criminalità – piccola o grande che sia – dipendono da una configurazione globale del diritto, della normativa e della cultura. Questi fenomeni sociali si adeguano facilmente alle tecniche di circolazione monetaria disponibili nel Paese. Credere che un mezzo di pagamento dematerializzato ostacoli i truffatori e i criminali è una superstizione falsamente ingenua.
Sì, superstizione, come dimostrano le più grandi appropriazioni indebite degli ultimi 10 anni che sono sfuggite alla rete dei «gabellieri» (esattori delle tasse e guardie doganali) senza dover portare valigie di banconote. Sul piano della sicurezza pubblica, i Paesi che limitano i pagamenti in contanti – in particolare Francia e Italia – non sono più sicuri – per usare un eufemismo – dei Paesi in cui il denaro contante circola liberamente, come Svizzera, Germania, Hong Kong, Singapore. Questa immagine di una società senza contanti è una superstizione falsamente ingenua, perché dissimula operazioni molto comuni sia dello Stato sia delle banche commerciali.
Nella logica del mercato
Certo, la proporzione dei pagamenti in contanti è in calo, ed è ormai ampiamente in minoranza nei Paesi occidentali e in Asia. I consumatori favorevoli al no cash sottolineano la praticità del pagamento elettronico, peraltro innegabile. Sono sempre più numerose anche le diocesi che usano il cestino della raccolta contactless in diverse delle loro parrocchie.
Questi mezzi riflettono semplicemente la logica capitalista della produttività. Le catene di grandi magazzini e i commercianti che espongono la scritta no cash cercano di risparmiare sui costi di verifica dei contanti. Ci vuole tempo per «fare il controllo di cassa» ogni sera. Questo è meno vero oggi, perché le macchine, in un istante, controllano e contano le banconote e le monete, e danno il resto. Ma queste macchine non sono gratuite.
Per le banche commerciali, l’interesse per una società senza contanti non è inferiore. Finché non si liberano della preoccupazione e del costo della manutenzione della rete dei bancomat, esse contano sulla massa di depositi virtualmente vincolati, che allevia le limitazioni di legge sulle riserve minime obbligatorie, che esse gestiscono a loro vantaggio. Oltre alla conoscenza più precisa – anzi, quasi esaustiva – delle abitudini di consumo e di trasferimento di denaro dei clienti, la scomparsa del contante promette loro una maggiore flessibilità commerciale e di strategia di marketing. Inoltre, all’orizzonte del no cash c’è la prospettiva di trasferire facilmente ai propri clienti eventuali tassi di interesse negativi decretati dalla banca centrale.
In una società senza contanti, anche la politica monetaria delle banche centrali ha il suo vantaggio, perché la registrazione di tutte le transazioni nei conti bancari aiuta a combattere la tesaurizzazione. Quest’ultima, sfavorevole alla crescita, è temuta dai responsabili della politica monetaria, che vorrebbero suscitare nei risparmiatori una tendenza alla spesa. Questo può essere fatto più facilmente introducendo una sorta di «moneta che si svaluta», imponendo un tasso di interesse negativo sui depositi bancari. Invece, la ricchezza detenuta in contanti rischia solo la svalutazione della moneta, dovuta all’aumento dei prezzi.
A beneficio dello Stato, una società senza contanti rafforza la politica fiscale pubblica. L’assenza di contante in effetti ostacola l’evasione fiscale (il fatto di «dimenticare» o nascondere al fisco redditi o beni), ma anche la frode fiscale (il fatto di ingannare deliberatamente il fisco). Inoltre, le manovre pubbliche per costringere i risparmiatori a spendere, in assenza di inflazione causata dall’attività economica, possono provocare l’equivalente dell’inflazione, richiedendo tassi negativi che saranno tanto più efficaci in quanto i proprietari di tali depositi vincolati non potranno più sfuggire a questi prelievi conservando il denaro in contanti, in una cassaforte o «sotto il materasso», secondo l’espressione popolare.
Si capisce quindi facilmente come in Europa la Banca centrale, le banche commerciali, gli alti funzionari e i governi guardino con interesse alla Svezia, dove il contante è quasi completamente scomparso. Lì, la moneta fiduciaria in circolazione rappresenta circa il 2% delle transazioni, mentre nell’Unione Europea la cifra oscilla tra il 10% e il 20%, a seconda del Paese. Nei Paesi in via di sviluppo, la percentuale di contante in circolazione è ancora maggiore: tra il 60% e il 90%, a seconda del Paese. In questo contesto, nessuno si stupisce che gli attivisti anti-cash siano principalmente reclutati nelle popolazioni urbane, piuttosto giovani e con un livello di istruzione più elevato. È quindi comprensibile che la Svezia sia il Paese più avanzato d’Europa nella dematerializzazione del denaro.
Nella logica sociale
Questa teoria liberale in armonia con la dinamica capitalista deve essere messa in discussione. È logico che un monito che merita di essere ascoltato venga proprio dalla Svezia, il Paese europeo più avanzato in questo percorso verso pagamenti senza contanti. Stefan Ingves, governatore della Banca centrale svedese (Sveriges Riksbank), in un articolo pubblicato nel 2018, sostiene che è necessario mettere in atto nuove regole per garantire che il denaro contante continui a essere accettato come mezzo di pagamento. Egli spiega che le cose evolvono troppo rapidamente e che il controllo della Banca centrale sui sistemi di pagamento deve essere salvaguardato. Se non si fa nulla, dice, la Svezia arriverà a una situazione in cui tutti i mezzi di pagamento a cui il pubblico ha accesso saranno offerti e controllati da attori commerciali, senza contare le nuove cosiddette «valute elettroniche» di vario genere. Per chiarire il punto, il Governatore afferma che i promotori delle attività finanziarie private contro fondi pubblici «hanno torto» nel dire che gli svedesi non hanno nulla da temere. In tempi di crisi, spiega, il pubblico cerca sempre beni privi di rischio, come i contanti, garantiti dallo Stato. «È improbabile che gli attori commerciali si assumano in tutte le circostanze la responsabilità di assecondare la domanda del pubblico di avere mezzi di pagamento sicuri». Questi argomenti sono stati ascoltati: dall’inizio del 2020, un regolamento svedese obbliga le banche ad assicurare la distribuzione del contante.
Tra tutte le ragioni addotte dal governo svedese, una contraddice direttamente la logica unidimensionale della performance e della razionalità capitalistica: l’attenzione ai più deboli. Questi dibattiti sulla tecnica dei pagamenti, che in apparenza sono puramente economici, in realtà occultano situazioni sociali con questioni morali abbastanza semplici, ma fondamentali. Una modernità radicata nella razionalità dominante si confronta così con una tradizione sociale intrisa di ispirazione religiosa, soprattutto cristiana, che non vuole trascurare nessun essere umano, né le legittime aspirazioni delle popolazioni più disagiate. In termini politici, un interesse generale ridotto alla salute dell’economia si contrappone qui al bene comune, che è il bene di tutti – specialmente dei più deboli – attraverso la solidarietà di tutti, anche se ciò significa ridurre un po’ la crescita economica.
Di fronte alla razionalità puramente economica che i sostenitori dell’abbandono del contante vorrebbero imporre, l’esigenza del bene comune sposa la causa di ogni membro della società, e non semplicemente quella di una maggioranza definita dalle statistiche, anche se più giovane, più istruita, residente in un ambiente urbano e abile nell’uso dei metodi di pagamento elettronico. La mancanza di denaro contante accentua la precarietà delle persone che vivono ai margini della società, escluse dalla tecnologia: i senzatetto, le persone senza documenti, i mendicanti, i migranti, gli anziani, soprattutto nelle aree rurali. Nella primavera del 2020, un senatore ha rivolto una domanda al governo sulla mancanza di bancomat in alcune zone rurali della Francia. Non si trattava semplicemente di compiacere i mercanti di bestiame che, non fidandosi del fisco, pagano in contanti mucche e cavalli. Tutti gli studi sulle dimensioni antropologiche e politiche del contante convergono su questa sintesi stilata dal direttore della Monnaie de Paris: «La moneta fiduciaria (banconote di carta, più monete di metallo) è percepita non soltanto come pratica e facile da usare, ma anche come un “vettore di coesione sociale”. Al di là del suo uso quotidiano, il denaro continua a svolgere un ruolo nella nostra società, per la trasmissione intergenerazionale, l’educazione e la solidarietà».
La causa degli esclusi
Questo è il motivo per cui le Ong più vicine ai migranti e ai poveri protestano vigorosamente contro le decisioni amministrative di limitare il contante, in particolare il denaro ricevuto dai migranti in alcuni Paesi. Una di queste decisioni amministrative, che sembra essere in apparenza puramente tecnica, neutralizza le carte di prelievo di contanti concesse ai richiedenti asilo. Infatti, in attesa dell’esame del loro caso, per compensare il divieto di lavoro, questi ricevono solitamente una piccola somma di denaro (generalmente tra 7 e 12 euro al giorno). I tecnocrati, con il pretesto di un possibile racket, vogliono consentire solo le carte di pagamento, ma non i prelievi di contanti dai bancomat, né i trasferimenti di denaro. La precarietà di queste persone ne risulta aumentata. Inoltre, ci sono consumatori che sono più o meno inconsapevoli delle loro spese quando vengono dematerializzate. Del segno monetario tangibile gli psicoanalisti hanno fatto a lungo un buon affare: giustificavano il pagamento in contanti per ciascuna delle sedute che facevano con l’efficacia del trattamento psicologico. In gergo francofono, bisognava «toccare con mano» i soldi per dare al pagamento il suo giusto peso. Altrimenti, il denaro dematerializzato sarebbe psicologicamente inefficace.
Oltre a queste particolari categorie, la maggior parte di coloro che vogliono mantenere una quota di denaro contante si preoccupa di salvaguardare la propria privacy. La questione riguarda la libertà di coscienza e di azione. Altre categorie di persone si uniscono a questa schiera: persone sensibili al furto di dati, alla manipolazione di codici, agli errori nelle richieste, ai malfunzionamenti dei sistemi di prelievo, per non parlare degli errori dell’utente quando, con l’avanzare dell’età, gli tremano le mani e preme goffamente i tasti del computer o del telefono cellulare. I bug informatici non possono mai essere esclusi, e l’esperienza quotidiana mostra quanto possa essere penoso affrontare le difficoltà amministrative quando si tratta di ottenere il riconoscimento dei propri diritti.
Contro queste minacce di malfunzionamenti, i sostenitori del no cash presentano le statistiche: i rischi operativi rappresentano solo una parte esigua delle somme in gioco. Questi tecnocrati confondono la statistica con la diagnosi. Le statistiche si basano sulla legge dei grandi numeri, mentre le diagnosi riguardano ciascun individuo, perché, a parte le compagnie di assicurazione, i fondi di investimento, le aziende operanti nel mercato di massa e lo Stato, pochissime persone si trovano in situazioni che rientrano nella legge dei grandi numeri. Secondo l’esperienza comune, ciò che accade agli altri accade anche a se stessi. Infine, gli attivisti che lavorano per l’abolizione del contante non sembrano tanto motivati dalla modernizzazione del sistema di pagamento quanto dallo sfruttamento personale, commerciale o statale di dati privati: sfruttamento operato da tecnocrati che non hanno alcun riguardo per la vita privata o per la volontà dei consumatori, dei deboli e degli esclusi, e ancor meno per chi non sa usare i dispositivi digitali.
Pericolo politico di una società senza contanti
Anche le implicazioni politiche di una società senza contanti meritano di essere evidenziate. La Cina è tecnicamente il Paese più avanzato in questa transizione verso una società senza contanti. Eppure, non è considerata un modello di liberalismo. Attualmente persegue una politica restrittiva delle libertà individuali. Coloro che ancora ricordano i mali dei regimi totalitari sono giustamente sospettosi di una società senza contanti, che lascia l’individuo del tutto dipendente finanziariamente da un sistema centralizzato. Una petizione a favore del mantenimento dei contanti chiede: «Cosa accadrebbe se si diventasse uno dei bersagli del potere politico?».
E anche supponendo che le istituzioni democratiche non siano mai il vettore di un populismo dai toni totalitari, rimarrebbe la minaccia di un prelievo arbitrario sulla liquidità dei correntisti, soprattutto in caso di crisi del debito pubblico. Ricordiamo la Grecia, Cipro e l’Argentina, dove, di fronte alla crisi, i prelievi di contanti sono stati limitati in nome dell’interesse generale. A volte i prelievi venivano effettuati direttamente sui depositi dei risparmiatori. Una direttiva della Commissione europea prevede peraltro la possibilità di tale tipo di prelievo in caso di grave crisi. Questa pratica è un’imposta ingiusta e discutibile, perché la porzione dei patrimoni tenuti nei conti correnti è tanto maggiore quanto minore è la ricchezza, e quindi grava di più sui redditi bassi. Essa è, inoltre, un’imposta non democratica, perché, come l’inflazione, l’addebito diretto sui conti correnti dei cittadini agisce subdolamente, al di fuori di ogni controllo parlamentare, non sulla ricchezza reale, ma solo sulla forma più esposta dei beni di ciascuno.
Verso quale soluzione?
Si può immaginare una moneta puramente elettronica che sfugge alla logica del mercato. Per mitigare i rischi evidenziati dal Governatore della Banca centrale svedese, ossia di una gestione commerciale, tramite banche e aziende, dei pagamenti, alcuni raccomandano – e le banche centrali vi si stanno effettivamente preparando – la creazione e la gestione di valute elettroniche pubbliche. Questo non eliminerebbe il problema del controllo statale temuto da alcuni.
Per evitare tali pericoli, alcuni vogliono rendere le criptovalute più operative, meno costose in termini energetici, e quindi più ecologiche. Questa soluzione non è priva di rischi, perché si tratta di valute puramente speculative, il cui tasso di cambio varia fortemente e in continuazione, e che si basano su un sistema ritenuto non falsificabile, ma i cui difetti un giorno potrebbero venire a galla. Inoltre, la diffusione delle criptovalute non soddisferebbe affatto i cittadini animati da senso civico, che si preoccupano di limitare le frodi e il riciclaggio di denaro. Di fatto, le criptovalute sembrano essere un mezzo per sfuggire ai dettami delle organizzazioni totalitarie. Non sono forse apparse proprio in risposta a questa possibile minaccia? In realtà, la volatilità di tali valute digitali le rende poco adatte a svolgere il ruolo di riserva di valore. E la loro indipendenza dal potere politico si sta rivelando sempre più illusoria[3].
Per concludere, nonostante il suo costo economico e le perdite che consente nella circolazione del contante, e tenuto conto dei problemi antropologici e sociali degli scambi economici, la situazione esistente, in cui le banconote e la moneta divisionale circolano in concorrenza con i mezzi di pagamento elettronici, rimane il sistema che attualmente presenta il miglior compromesso economico e politico.