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“I problemi iniziano dai pm”

21 Settembre 2021 - Autore: Alleanza Cattolica

Intervista di Fausto Carioti ad Alfredo Mantovano da Libero del 19/09/2021

«Ci sono tre protagonisti nella storia dei verbali di Piero Amara. Ad ognuno corrisponde un gruppo di problemi deflagrati adesso, ma evidenti da tempo». Alfredo Mantovano, consigliere alla Corte di Cassazione e vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino, ha scritto libri e articoli su come togliere il marcio dal sistema giudiziario italiano.

Da dove iniziamo?

«Dal primo protagonista,la procura di Milano, che usa l’avvocato Amara come dichiarante nelle indagini e nei processi: quelli a carico dell’Eni ed altri. Le sue dichiarazioni innescano il meccanismo che conduce allo scontro interno, non solo tra il pm Paolo Storari e il suo capo, Francesco Greco, ma tra Greco e quasi tutti i suoi sostituti: 56 pm su 64, tanti quanti hanno firmato la lettera di solidarietà a Storari».

Qual è il problema alla base?

«È il problema del pm, che esiste dal Codice di procedura penale del 1989. Questo ha conferito alle procure poteri d’indagine notevoli, senza che fossero accompagnati da adeguati controlli. II risultato è che il 10% dei reati iscritti nei registri delle procure va in prescrizione durante le indagini. Significa che i pubblici ministeri decidono quali reati perseguire e quali no». E l’obbligatorietà dell’azione penale?

«È scritta nella Costituzione, ma negata quotidianamente dalle procure. Per carità: i carichi sono pesanti e ci sono altre ragioni, ma se solo alcuni processi vanno avanti, è perché i pm scelgono cosa perseguire penalmente e cosa no».

E la vicenda Amara è una di queste. Greco dice che frenò perché «preoccupato, anche di capire il senso della collaborazione di Amara». E credibile?

«Mi limito a dire che Amara ha reso delle dichiarazioni che, sulla base del codice, avrebbero dovuto avere un seguito d’indagine. O per condurre all’archiviazione, e quindi alla sua incriminazione per calunnia, o per produrre sviluppi investigativi. Invece sono rimaste in un limbo».

Finché il caso non è esploso al Csm.

«È il secondo protagonista. Le sue correnti hanno perso ogni appeal ideologico per diventare luoghi di definizione di equilibri di potere. La confusione che si è vista nel Csm sui verbali di Amara è dipesa in gran parte dal fatto che uno non si fidava dell’altro,per ragioni di appartenenza correntizia o, addirittura, per le divisioni all’interno della stessa corrente».

Terzo e ultimo protagonista?

«Il sistema giudiziario nel suo complesso. Esce da questa storia come un malato di Covid il quale, anziché essere sottoposto a cure immediate, viene lasciato lì. Tutt’al più gli danno qualche mentina».

Qual è la prima medicina?

«Ricondurre il pm al ruolo previsto dalla Costituzione,riequilibrando i suoi poteri con quelli del magistrato giudicante. Serve una radicale separazione delle carriere: concorsi diversi, progressione di carriera diversa, modalità di valutazione diverse, consigli superiori di riferimento diversi».

Profonda riforma del Csm, quindi.

«Nel corso dei decenni è diventato una sorta di parlamentino che esamina le proposte di legge, produce pareri e gestisce il giudizio disciplinare dei magistrati. Anch’esso va ricondotto al ruolo previsto dalla Costituzione, quello di alta amministrazione della magistratura».

La funzione disciplinare a chi andrebbe?

«Su questo vedo un consenso che va oltre le appartenenze ideologiche. Luciano Violante ha appena rilanciato la proposta di affidarla a un organo che sia fuori dal Csm e non risponda a criteri elettivi e di scambi di favori tra correnti. I suoi membri sarebbero nominati dal presidente della repubblica e altre alte cariche dello Stato, scegliendoli tra personalità autorevoli».

Resta il nodo della selezione dei magistrati.

«Le prove scritte e orali si sono rivelate assolutamente insufficienti».

Cos’altro serve?

«Occorre calibrare la capacità fisica e psicologica del candidato, per evitare che in magistratura entrino persone preparate, ma squilibrate. Il fatto che simili verifiche non siano facili non significa che non si possano fare. Infine, c’è una istituzione che potrebbe agire in modo molto più incisivo: il ministero della Giustizia».

Cambiano i guardasigilli, ma questo non accade mai. Come se lo spiega?

«Spesse dipende dal fatto che i ruoli chiave nel ministero, chiunque sia il ministro, sono ricoperti dai magistrati. Se una larga parte di loro uscisse dal ministero sarebbe come aver bandito un concorso: avremmo subito almeno 150 unità in più disponibili. E il ministero sarebbe meno condizionato dai magistrati».

Riforme che non appaiono né nei progetti di Marta Cartabia, né nei quesiti referendari.

«No. Per farle serve la piena assunzione di responsabilità da parte del parlamento e del governo. Questi sono legittimati a lamentare l’invadenza della magistratura se, nel rispetto della Costituzione, tracciano confini chiari per l’azione dei magistrati. Se non lo fanno, lamentarsi è fuori luogo»

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