La carità del santo arcivescovo di Milano nel più famoso tra i cicli pittorici del Duomo
di Michele Brambilla
Coloro che visitano il Duomo di Milano in una data compresa tra il 4 novembre, festa di san Carlo Borromeo, e il giorno di Natale possono ammirare l’esposizione (che avviene ogni anno in questo arco temporale) dei celebri “Quadroni di san Carlo”.
Come è noto, il Duomo è stato costruito in puro marmo di Candoglia. Tra statue, guglie, capitelli istoriati, altari laterali, tombe arcivescovili e grandi vetrate, non rimane molto spazio per un eventuale ciclo pittorico. L’Arcidiocesi e la Veneranda Fabbrica del Duomo ovviarono all’inconveniente commissionando nei secoli tre grandi cicli di tavole dipinte, da appendere lungo i pilastri o sopra gli stalli del coro in occasione di particolari festività. Ci occuperemo di quello più noto, commissionato dal card. Federico Borromeo (1595-1632) per commemorare il grande cugino in vista della sua canonizzazione (1610).
Il progetto dei Quadroni era molto ambizioso perché comprendeva la preparazione di una serie di tele di grandi dimensioni (tali da coprire la distanza tra un pilastro e l’altro) che dovevano illustrare gli episodi salienti della vita del santo Borromeo (1538-1584). Ad ogni episodio è collegata una tela più piccola, che mostra uno dei tanti miracoli che hanno permesso la canonizzazione dell’arcivescovo ambrosiano. Fu richiesta la collaborazione di tutti i più grandi pittori presenti a Milano in quel momento, tra i quali è doveroso citare almeno il Cerano (Giovanni Battista Crespi, 1573-1632), il Morazzone (Pier Francesco Mazzucchelli, 1573-1626), il Duchino (Pier Camillo Landriani, 1562-1618) e Giulio Cesare Procaccini (1574-1625). I lavori iniziarono nel 1602, subito dopo la beatificazione di san Carlo, e proseguirono fino al 1690, portati avanti da artisti minori.
Il ciclo si dipana lungo la navata centrale e racconta, come previsto nel progetto originario, la vita e i miracoli di san Carlo, dalla nascita al pio transito. Sono molti gli episodi che dimostrano la grande carità dell’arcivescovo di Milano, basti pensare alla tela Creato Abate, san Carlo destina i suoi averi ai poveri o Il Santo vende il principato di Oria, ma il quadro che più colpisce l’immaginario degli uomini del 2020, afflitti dalla pandemia del Covid-19, è certamente Il Santo visita gli appestati, appeso nel transetto sinistro. Ritrae san Carlo nel momento in cui si reca presso il lazzaretto allestito in occasione della peste del 1576 per regalare ai malati, come coperte, i drappi che erano soliti ornare le sale del palazzo arcivescovile. Gli appestati sono ricoverati sotto capanne di legno, immerse nel verde della campagna, ma corrono verso l’arcivescovo non appena lo scorgono. Il santo è assiso sulla mula con la quale, negli anni precedenti, aveva percorso l’arcidiocesi in lungo e in largo per compiere le visite pastorali prescritte dalla Riforma tridentina. Veste la porpora cardinalizia ed è preceduto dal cavaliere crocifero: non si reca, quindi, nel lazzaretto in forma privata, ma in maniera ufficiale, per far sentire ai degenti la solidarietà di tutta la Chiesa. Non c’è soluzione di continuità tra gli atti precedenti la peste e la carità dimostrata in quella occasione, è sempre il buon pastore ad agire, mentre la croce astile ricorda le indelebili parole di Cristo: «[…] lo avete fatto a me» (Mt 25,40).
Sullo sfondo si scorgono Milano, con le sue cupole e i suoi campanili ancora romanico-gotici, e l’inconfondibile profilo del Resegone, che fornisce un preciso riferimento spaziale.
Sabato, 7 novembre 2020