di Gabriele Fontana
I sacri monti sono un elemento di rilievo del panorama devozionale, artistico e paesaggistico dell’area prealpina e sono definibili come santuari che, invece di essere rappresentati da un solo edificio in forma di chiesa, sono costituiti da più ambienti sacri, in forma generalmente di cappella, disposti lungo un percorso montano. I nove siti principali – nel 2003 l’UNESCO li ha iscritti come “Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia” nella Lista del Patrimonio Mondiale – possono essere ricondotti abbastanza fedelmente a questa tipologia, pur nella differenza di dimensioni, di monumentalità, di evoluzione e completamento del progetto, non sempre corrispondente al disegno e alle intenzioni iniziali.
Distribuiti ai piedi delle Alpi, questi straordinari percorsi di fede rappresentano una particolarità del clima religioso della riforma cattolica nel secolo XVI e dall’Italia Settentrionale vedranno anche una diffusione in altri ambiti geografici e culturali, come la penisola iberica, la Slovacchia e la Polonia. In forma molto più semplificata, ma sempre riconducibili al concetto di segni del sacro disposti lungo un percorso, si possono riconoscere in questo modello anche i calvari e le viae crucis, con diffusione geografica più estesa e in contesti paesaggistici diversi.
La sintesi di fede, arte e paesaggio costituisce certamente l’aspetto di fascino più direttamente percepibile, ma la loro specificità richiede un’analisi degli aspetti simbolici (la realtà invisibile richiamata dalla realtà invisibile), dell’origine storica, degli scopi e delle modalità dell’espressione artistica
L’origine storica più remota potrebbe essere ricondotta all’interruzione della possibilità di recarsi pellegrini in Terra Santa e al tentativo di ricreare ambienti che richiamassero in Occidente i luoghi sacri e soddisfacessero il “bisogno di Gerusalemme”. Situazione a cui certamente si può ricondurre quello che storicamente è il primo dei sacri monti prealpini, ovvero la “Nuova Gerusalemme” presso Varallo Sesia. Al tema gerosolimitano ne subentrano poi altri, come il rosario (Varese, Crea) o la vita di santi (Orta).
L’elemento “monte” ne rappresenta l’aspetto simbolico più significativo. La montagna come sede della divinità, o comunque come possibilità per l’uomo di avvicinarsi al divino, è un dato comune a pressoché tutte le esperienze religiose e vi si associa il concetto di faticosa salita, di ascesi, per raggiungerne le altezze. Il monte come luogo sacro ci ricollega, per altro, alla constatazione che i sacri monti prealpini spesso sono sorti in siti che comunque avevano già una connotazione sacra, pagana prima e poi cristiana. In questi casi si ha la cristianizzazione, la riconsacrazione di luoghi che avevano già una pur diversa connotazione sacra, riconoscibile da quelle stesse popolazioni oggetto di conversione alla fede. La loro successiva destinazione a luoghi di culto cristiano sanciva così anche il trionfo del cristianesimo sugli antichi idoli.
Nell’ambiente subalpino, naturalmente ricco di vegetazione, i sacri monti si configurano come “via” sacra che si apre in ambienti naturalmente boscosi e ciò rappresenta un altro elemento simbolico riconoscibile. Le selve, non necessariamente “oscure”, sono comunque luogo di disorientamento e di smarrimento. In esse è necessario trovare un percorso, fuori dal loro intrico, e la via che sale verso l’alto risponde a questa esigenza. Faticoso percorso in salita, ma ben delineato e orientato a una meta, a sua volta simbolo di ascesi spirituale.
Il tutto, monte, selva, via, si fonde in un paesaggio con le caratteristiche di bellezza che nel mutare delle stagioni sempre narra la gloria di Dio, entità distinta dal paesaggio circostante, caos ricondotto ad ordine e armonia, luogo di comunicazione tra l’uomo e Dio, ricco di simboli che ne testimoniano la presenza e il desiderio di penetrare nella dimensione umana.
All’attrattiva dei luoghi contribuisce ovviamente la bellezza artistica, palese anche al più profano degli osservatori, tanto che questi luoghi continuano ad attrarre e destare meraviglia, al di là della piena comprensione del loro valore religioso. In realtà l’eccellenza artistica non è fine a sé stessa, non è “museale”, bensì ha una chiara funzione didascalica, di evangelizzazione e catechesi attraverso le immagini. Questo ci permette di sottolineare un altro aspetto peculiare dei sacri monti. Se siamo partiti da una interpretazione simbolica di essi, ci troviamo ora di fronte a un esercizio di straordinario realismo. Di norma, almeno nei siti più rilevanti, le diverse stazioni, le cappelle, che scandiscono il percorso sono straordinari teatri che rappresentano con estremo realismo le scene sacre a cui si riferiscono. A statue di grandezza naturale, attente a mostrare con acuta rappresentazione psicologica i diversi personaggi, contornate da ambienti, oggetti e fondali dipinti, che contribuiscono a loro volta a rendere viva, per quanto statica, la scena teatrale, è affidato il compito di realizzare quella composizione di luogo che rende concreta la narrazione evangelica, la vita di un santo, i luoghi della passione. Di fatto ci troviamo di fronte a “sacre rappresentazioni” che da dinamiche divengono statiche, la cui teatralità si cristallizza in un preciso momento narrativo.
Luoghi di pellegrinaggio e di devozione i sacri monti vengono visti come baluardo, vallo alpino a difesa del cattolicesimo dal protestantesimo d’oltralpe, ma se vanno certamente a rafforzare la fede con il loro intento catechistico, non nascono certo dove la fede non era viva e attiva nelle popolazioni. Al contrario, divengono iniziative che sorgono accompagnate da grande partecipazione popolare, coinvolgendo coralmente censi e ruoli diversi nell’impresa comune.
Lo spirito della Riforma cattolica pervade queste raffigurazioni, nell’intento e nell’espressione artistica stessa. Il valore delle immagini viene rafforzato, a contrastare l’iconoclastia protestantica, in un contesto che vede una riflessione riformatrice anche per quanto riguarda la rappresentazione dei temi sacri. Le opere artistiche devono essere leggibili e aderenti alla scrittura, chiarezza, decoro e verità le devono caratterizzare. Indicazioni che sono oggetto del decreto del Concilio di Trento (1545-1563) De invocatione et veneratione et reliquis sanctorum et sacris imaginibus – del 3 dicembre 1563 –, dove è scritto «che il popolo venga istruito, a mezzo di raffigurazioni pittoriche e di altro genere, sui misteri della nostra redenzione affinché si rafforzi l’abitudine di aver sempre presenti i principi della fede». Questi indirizzi avranno grande influenza sull’espressione artistica dell’epoca e saranno oggetto di ulteriore riflessione in opere come le Instructiones fabricae et suppellectilis ecclesiasticae del 1577, di san Carlo Borromeo (1538-1584), arcivescovo di Milano, e il Discorso intorno le immagini sacre e profane del 1582, di Gabriele Paleotti (1522-1597), arcivescovo di Bologna.
Connubio inscindibile di fede, natura e arte, i sacri monti ci chiamano ancor oggi con forza intatta a ritrovarci pellegrini e a metterci in viaggio verso di essi, per goderne la bellezza e per riviverli nello spirito che li ha così mirabilmente prodotti.
Sabato, 15 febbraio 2020