Origine e storia della polifonia nella Chiesa Cattolica
di Marco Drufuca
Accanto al Canto Gregoriano, la Chiesa sovente indica come modello per la musica sacra la tradizione polifonica, il cui vertice viene identificato con l’opera di Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594).
Nella più ampia definizione, perché ci sia polifonia è necessario che due o più linee melodiche distinte e indipendenti tra di loro, ma allo stesso tempo in grado di “suonare bene” insieme (ciò pertiene al contrappunto), vengano eseguite in contemporanea.
Per buona parte del primo millennio dopo Cristo, il canto ecclesiastico non conobbe nulla di simile. Le varie tradizioni di canto liturgico, infatti, erano di natura monodica, ossia caratterizzate da una sola linea melodica, eseguita senza seconde voci né accompagnamento.
A dire la verità, i primi sviluppi del pensiero polifonico si ebbero quasi accidentalmente. Due trattati anonimi del IX secolo, Musica Enchiriadis e Scolica Enchiriadis (cui talvolta ci si riferisce genericamente come ai “trattati Enchiriadis”), ci informano della nascente pratica dell’organum, ossia dell’abbellimento di un’originaria linea gregoriana (vox principalis) con l’aggiunta di nuove voci (voces organales).
In teoria, le nuove voces organales avrebbero dovuto limitarsi a riprodurre tale e quale la vox principalis, sebbene trasposta verso il basso di un intervallo consonante, ossia di un’ottava (diapason, l’intervallo che separa per esempio un Do dal Do successivo sulla tastiera), una quinta (diapente, l’intervallo che separa per esempio il Do dal Sol) o di una quarta (diatessaron, esemplificato dall’intervallo Do-Fa).
Un breve esempio di organum alla quinta, tratto proprio da Musica Enchiriadis, può essere ascoltato QUI: in linea con quanto visto finora, si noteranno due voci perfettamente parallele e a distanza di quinta l’una dall’altra; la melodia superiore è la vox principalis, quella inferiore è vox organalis.
Se la novità si fosse limitata a ciò, tuttavia, non si potrebbe ancora parlare di polifonia così come l’abbiamo definita in precedenza: le voci aggiunte non sono altro che la copia trasposta di quella originale, prive dei caratteri di indipendenza e distinzione che abbiamo visto essere necessari.
Il caso dell’organum al diatessaron, tuttavia, presentando alcune difficoltà in più, impose la creazione di un sistema più complesso.
Non tutte le specie di intervalli di quarta infatti sono consonanti: ve n’è uno, quello di quarta eccedente (o, più comunemente, ‘tritono’, l’intervallo che separa il Fa dal Si), che all’epoca era considerato la massima delle dissonanze, in ragione del rapporto numerico che lo descrive. Ora, la ‘scala dasiana’ adottata dai trattati Enchiriadis era tale per cui, se ci si fosse limitati ad aggiungere una vox organalis “quattro note più in basso” a quella principalis, in svariati punti le due voci si sarebbero trovate proprio a distanza di tritono tra di loro, con ciò contraddicendo il principio della consonanza tra le voci (vedi figura sotto).
Per ovviare a questo problema, i trattati Enchiriadis introdussero una nuova regola: la vox organalis non avrebbe potuto scendere sotto l’ultima nota (tetrardus) del tetracordo inferiore alla principalis. Vale a dire: se la vox principalis si fosse mossa nell’ambito delle quattro note sopra indicate come “Finales”, la vox organalis non avrebbe potuto scendere sotto la quarta nota dei “Graves”, evitando così la relazione di tritono evidenziata tra la terza nota dei “Graves” e la seconda dei “Finales”.
Ciò è proprio quanto avviene in un esempio riportato in Musica Enchiriadis che può essere ascoltato QUI: si noterà come in apertura la vox organalis (la voce inferiore, rappresentata con note nere piene) stia ferma su una stessa nota nonostante la principalis salga, fenomeno che si ripete anche nella riga successiva.
Una simile operazione doveva però avere un risultato scontato: non sempre la vox organalis avrebbe potuto mantenersi a distanza costante dalla principalis! Ciò implica che l’organum alla quarta non potesse limitarsi a un puro raddoppio melodico, prevedendo piuttosto per la prima volta la compresenza di due (o più) voci che, pur non ancora del tutto indipendenti, seguivano corsi diversi.
L’esempio riportato, inoltre, evidenzia un’ulteriore novità di estrema importanza: paradossalmente, per evitare la dissonanza del tritono se ne sdoganava un’altra, quella di seconda maggiore (ossia l’intervallo tra due note contigue a distanza di tono, come Do e Re), che nell’esempio compare già alla seconda nota. I commentatori dell’epoca erano ben consci della contraddizione intrinseca a questa scelta: qualche decennio dopo i trattati Enchiriadis, il trattato sull’organum di Colonia parla di “organum abusivum” ogni volta che la vox organalis non si trova su uno degli intervalli previsti rispetto alla principalis, mentre un trattato analogo conservato a Parigi sostiene che non si possa nemmeno parlare di organum in simili casi. Tuttavia, al netto delle prese di distanza dal punto di vista teorico, rimase il fatto che la dissonanza, almeno di un determinato tipo, era ormai introdotta nella prassi canora polifonica: una novità non da poco per la Storia che ne sarebbe seguita.
Essa infatti avrebbe giocato un ruolo fondamentale in tutti gli sviluppi successivi della musica occidentale. Non solo per l’uso intensivo e talvolta spregiudicato che ne avrebbero fatto qualche secolo più tardi i compositori dell’ars nova, poi ripresi ed imitati dalle avanguardie musicali del XX secolo, ma anche perché avrebbe permesso lo sviluppo di quella che impropriamente si potrebbe chiamare “sintassi” musicale. Infatti, nei secoli sarebbe maturata la convinzione che, per l’orecchio umano, due suoni dissonanti “tendano” verso la consonanza, ossia che un intervallo che “suona male” reclami di essere seguito da uno che invece “suoni bene”. E’ il motivo per cui quando sentiamo un determinato accordo o un determinato disegno melodico, in qualche modo ci aspettiamo già quello che seguirà. Nel tempo, su questa base sarebbe stato elaborato un sistema capace di regolare e ordinare la preparazione, il culmine e la risoluzione delle tensioni dovute alle dissonanze: per secoli sarebbero state queste le fondamenta del linguaggio musicale occidentale.
Sabato, 20 settembre 2025

