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I vessilli del Re

14 Maggio 2022 - Autore: Michele Brambilla

Gli stendardi processionali: un patrimonio inestimabile delle sacrestie cattoliche

di Michele Brambilla

Lungo le pareti di molte chiese lombarde si possono vedere, incorniciati, gli stendardi processionali che fino a pochi decenni fa sfilavano per le vie delle nostre città. Essi appartenevano in genere alle confraternite, in particolare a quelle del SS. Sacramento e del S. Rosario, che furono istituite nei decenni successivi al concilio di Trento (1545-63), ma non doveva mancare neppure un “vessillo parrocchiale”, che recava l’immagine del patrono della parrocchia. San Carlo Borromeo (1538-84) e l’architetto Pellegrino Tibaldi (1527-96) prescrissero nel loro De fabrica ecclesiae: «il vessillo parrocchiale (detto con termine ecclesiastico siparo o fanone) sia solidamente intessuto con oro ed argento oppure di seta». Le parrocchie non dovevano badare a spese, perché anche questo doveva essere ad maiorem Dei gloriam. San Carlo citava come esempio paradigmatico il labaro che l’imperatore Costantino (27a-337) recò sul campo di battaglia di Ponte Milvio nel 312. Lo stendardo processionale, per chi lo inalberava, assumeva pertanto un carattere fortemente militante, paragonabile, appunto, alle insegne militari.

La foggia esteriore degli stendardi cambia da regione a regione, da nazione a nazione e persino da continente a continente. In Francia si preferiscono due aste orizzontali e decorazioni molto semplici, mentre nel Tirolo gli stendardi hanno dimensioni enormi e un aspetto che poco si discosta da quelli in uso nelle Chiese orientali. Prendiamo, quindi, a titolo d’esempio il tipico stendardo processionale lombardo. Esso era un grande drappo rettangolare, con frange dorate alle estremità inferiori. Se era stato commissionato dalla confraternita del SS. Sacramento o di un santo maschile, la cornice dell’immagine veniva inserita in una cornice in raso rosso, con ricami floreali, mentre se il vessillo era dedicato alla Madonna o ad un’altra santa si prediligeva il bianco o l’azzurro. Spesso il siparo era double-face: da una parte si disegnava l’ostensorio adorato dagli angeli o dai santi patroni della località, dall’altra la Vergine. Doveva, infatti, rappresentare entrambe le componenti della comunità/confraternita, ovvero gli uomini e le donne.

Le “facciate” degli stendardi prendevano il nome di “piatti”: recto e verso. Il fanone lombardo era talmente grande da dover essere sostenuto da un’asta orizzontale e da ben quattro verticali, che ne consentivano la rotazione e la visione completa da parte dei fedeli. Anche le confraternite dedicate ai più piccoli, come i cosiddetti “Luigini” (consortia dedicati a san Luigi Gonzaga) e le Figlie di Maria, avevano i loro stendardi “in miniatura”, spesso dipinti solo sul recto. L’iconografia era molto semplice e poneva in evidenza l’oggetto della devozione particolare degli associati.

Gli stendardi erano numerosi come le confraternite, ma non sempre questo patrimonio tessile è giunto integro a noi. Molte chiese conservano solamente il fanone, altre solo il riquadro centrale del medesimo, ma non mancano parrocchie nelle quali si è salvata tutta la “collezione”, che fa mostra di sé lungo la navata o nella sacrestia storica. Particolarmente rinomate, in proposito, le parrocchie della Brianza e del Lecchese, ma non mancano esempi virtuosi anche altrove. Nella città di Milano visitare, ad esempio, le parrocchie di S. Maria delle Grazie al Naviglio, S. Gottardo al Corso, S. Gioachimo, Turro, Precotto, ma anche lo stesso Duomo di Milano, dove si può ammirare lo stendardo dell’Arciconfraternita del S. Rosario della cattedrale.

Sabato, 14 maggio 2022

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