Con la poesia ellenistica per la prima volta nella sua storia la letteratura occidentale tende al puro prodotto artistico, all’arte per l’arte. Se è vero che la poesia breve può essere perfetta “come una stilla d’acqua pura e cristallina”, l’opera “sublime” consente al lettore di far esperienza della genialità e della grandezza di spirito dell’autore.
di Leonardo Gallotta
Piccolo è bello? Se facessimo questa domanda a Callimaco, il maggiore esponente della poesia e della poetica alessandrina, ci risponderebbe, senza alcun dubbio, affermativamente.
Callimaco (fine IV sec. a.C. – 240 a.C. circa) era originario di Cirene e apparteneva ad una nobile famiglia ridottasi tuttavia in povertà; ma una svolta nella sua vita si ebbe quando ad Alessandria entrò in contatto con la corte di Tolomeo II Filadelfo (283 – 246 a.C.), assumendo un importante incarico all’interno del Museo* – che era stato fondato da Tolomeo I Sotère (367 – 283 a.C.) – e restandovi anche nella prima parte del regno del successore, Tolomeo III Evergete (246 -221 a.C.). Occorre dire che a partire dall’inizio del III secolo a.C., a livello di poesia, assistiamo ad un fenomeno nuovo e assolutamente tipico dell’età ellenistica**, ovvero il fatto che molti letterati sono al tempo stesso studiosi e interpreti di letteratura, così che, a questo proposito, si è parlato di poeti–filologi.
Ora, è pur vero che non esiste poesia priva di studio, di regole e di precedenti, di tradizione, di cultura e di altre poesie che ne sono nutrimento e tuttavia resta il fatto che quella ellenistica è un tipo di poesia estremamente dotta. Si tenga presente che i poeti alessandrini andavano alla ricerca di varianti poco conosciute dei miti per ottenere un prodotto creativo del tutto originale. Anche Catullo, che si rifaceva alla poetica ellenistico-alessandrina, scrisse, oltre alle brevi nugae, otto carmina docta.
Per la prima volta nella sua storia la letteratura occidentale perde l’effettivo collegamento con la concreta occasione reale o esistenziale per tendere al puro prodotto artistico, a una creazione cioè che racchiude in se stessa la propria ragion d’essere. Per la prima volta siamo di fronte all’idea dell’arte per l’arte.
Una caratteristica dei poeti alessandrini è la consapevolezza di essere artefici di scelte individuali che si differenziano in modo singolare da quelle degli altri poeti. Uno dei capisaldi di questa poetica è la decisa avversione per la composizione in versi di lungo respiro (vale a dire il poema epico tradizionale) e la preferenza per la poesia breve. La ragione di questa scelta è dovuta al fatto che la poesia lunga richiede un’improbabile continuità di ispirazione e di capacità compositiva, per cui l’opera finale sarà piena di impurità e imperfezioni.
Quest’idea è espressa da Callimaco nell’Inno dedicato ad Apollo (Inno II, vv.107 e sgg.): “Grande è la corrente del fiume di Assiria, ma spesso / residui di terra e molto fango trascina nell’acqua. /Ma a Demetra le api portano acqua non da qualsiasi luogo: / quella che zampilla pura e incontaminata / da una sorgente sacra, piccola stilla, è l’offerta migliore”.
Con questi versi è certificata la risposta alla domanda posta all’inizio. È proprio vero (per Callimaco): piccolo è bello.
Esaminiamo ora un trattato che dal punto di vista letterario e anche estetico è stato importante nell’antichità e che ci pone un’altra domanda: oltre al bello esiste anche il sublime? Il trattato è, appunto, quello Del Sublime, in greco perì ýpsous, laddoveýpsos sta a significare “ciò che è alto, ciò che ha carattere di verticalità” (Remo Bodei). L’autore che era spesso indicato come Pseudo–Longino, non è comunque identificabile nonostante tutti i tentativi fatti, per cui oggi si preferisce chiamarlo Anonimo Del Sublime. Per la datazione dell’opera, invece, quasi tutti gli studiosi propendono per il I secolo a.C.
Tale trattato si presenta in forma di epistola: l’autore infatti scrive per un nobile romano, tale Postumio Floro Terenziano di cui nulla sappiamo se non il nome. L’intento è esplicitamente dichiarato: esaminare che cosa sia lo stile sublime, ossia “ciò che induce a sentimenti e a riflessioni più alte di quanto con le parole è stato detto”. L’opera è scritta anche con intento polemico nei confronti di Cecilio di Calacte che nel suo trattato sul Sublime aveva sì fatto lunghi esempi di stile sublime, trascurando però di evidenziare stile e tecniche usate dagli autori per raggiungere lo scopo.
Dice testualmente l’Anonimo: “Il Sublime trascina gli ascoltatori (o lettori) non alla persuasione, ma all’estasi, perché ciò che è meraviglioso… prevale su ciò che è solo convincente o grazioso, dato che la persuasione in genere è alla nostra portata, mentre esso, conferendo al discorso un potere e una forza invincibile, sovrasta qualunque ascoltatore” (traduzione di Giulio Guidorizzi).
C’è un termine che appare nelle prime battute del trattato, megalofrosýnes apéchema, che tradotto significa “risonanza di una grande anima”. L’Anonimo ritiene che un’anima elevata e nobile, grazie ad un’opera dallo stile sublime, possa trasfondersi completamente in essa. Il sublime richiede dunque una specie di empatìa tra autore e fruitore dell’opera. Importante è l’elemento di verticalità. Dice l’Anonimo: ‘Nel sentire recitare o leggere l’Odissea o una tragedia di Sofocle, mi sento crescere su me stesso, mi innalzo su me stesso, mi riempio di questo sentimento del sublime come se l’opera d’arte l’avessi fatta io’.
Lo stile sublime tuttavia non si raggiunge istintivamente. Dopo aver dichiarato che non c’è identificazione col bello, l’Anonimo riconosce che per raggiungere lo scopo serve anche una buona conoscenza delle tecniche proprie dell’arte retorica, associate tuttavia alla genialità e alla grandezza di spirito dell’autore. Numerosi sono gli autori citati come esempi: Omero, i tragici, Pindaro, Saffo e persino la Bibbia. Rivolto al suo interlocutore fa infine un paragone tra due tragici: Ione di Chio e Sofocle concludendo così: “Nessuno sano di mente sceglierebbe il primo, pur bravo nella scrittura e nei versi, né darebbe in cambio la sola tragedia dell’Edipo re con tutti i drammi di Ione messi insieme”.
In altro luogo dice l’Anonimo che è pur vero che la poesia breve può essere perfetta come una stilla d’acqua pura e cristallina, ma è tutta una questione di vista, lontana o vicina. L’opera lunga, pur con le sue imperfezioni e impurità, è come un grande fiume. Se lo guardi da lontano ne riesci a cogliere tutta la sua sublime maestosità.
Sabato, 23 novembre 2024
* Il Museo, eretto ad Alessandria d’Egitto per iniziativa di Tolomeo I Sotère, era un edificio dedicato alle Muse, ossia alle figlie di Zeus. Fu un luogo di incontro tra dotti e anche di insegnamento, rappresentando la massima istituzione culturale del mondo ellenistico.
** L’età ellenistica si fa convenzionalmente iniziare con l’anno della morte di Alessandro Magno (323 a.C.) e terminare con la morte di Cleopatra e la vittoria romana nella battaglia di Azio del 31 a.C. Dal punto di vista culturale, data l’importanza di Alessandria d’Egitto, i termini alessandrino ed ellenistico possono essere considerati equivalenti.