Il miracolo del cieco nato e il “chiacchiericcio” che lo circonda
di Michele Brambilla
Come spiega Papa Francesco all’inizio dell’Angelus del 19 marzo, «oggi il Vangelo ci mostra Gesù che ridona la vista a un uomo cieco dalla nascita (cfr Gv 9,1-41). Ma questo prodigio è accolto in malo modo da varie persone e gruppi».
«Anzitutto ci sono i discepoli di Gesù, che di fronte al cieco nato finiscono nel chiacchiericcio: si chiedono se la colpa sia dei genitori o sua», perché all’epoca si riteneva che Dio punisse infallibilmente ogni singolo peccato per generazioni, trasmettendo la colpa dei padri ai figli. «Poi, avvenuta la guarigione, le reazioni aumentano. La prima è quella dei vicini, che sono scettici: “Quest’uomo è stato sempre cieco: non è possibile che ora veda, non può essere lui!, è un altro”: scetticismo» o, peggio, tentazione recondita di lasciare inalterate le “certezze” del pregiudizio, specie sul rabbi di Nazareth, che con questo miracolo si rivela essere ben più di un semplice maestro. «In tutte queste reazioni, emergono cuori chiusi di fronte al segno di Gesù, per motivi diversi: perché cercano un colpevole, perché non sanno stupirsi, perché non vogliono cambiare, perché sono bloccati dalla paura. E tante situazioni assomigliano oggi a questa. Davanti a una cosa che è proprio un messaggio di testimonianza di una persona, è un messaggio di Gesù, noi cadiamo in questo: cerchiamo un’altra spiegazione, non vogliamo cambiare, cerchiamo una via di uscita più elegante che accettare la verità» che ci “infastidisce” interiormente.
«L’unico che reagisce bene è il cieco: lui, felice di vedere, testimonia quanto gli è accaduto nel modo più semplice: “Ero cieco e ora ci vedo”», evidenzia il Papa. Nella storia delle ideologie è sempre così: se i fatti non danno ragione alla teoria che va per la maggiore, tanto peggio per i fatti. Non viene tollerata, in particolare, la novità di vita che si manifesta in coloro che credono davvero in Gesù Cristo, infatti cercano in tutti i modi di soffocarla. Il Pontefice sottolinea particolarmente che «quando Gesù ci guarisce, ci ridona dignità», o meglio ci ristabilisce nella dignità che l’uomo aveva nel progetto originario di Dio. Essendo una dignità perduta e quasi dimenticata, è ovvio che essa sembri “strana” agli occhi ottenebrati dal peccato.
«Fratelli, sorelle, con tutti questi personaggi il Vangelo odierno mette anche noi nel mezzo della scena, così che ci chiediamo: che posizione prendiamo, che cosa avremmo detto allora? E soprattutto, che cosa facciamo oggi? Come il cieco, sappiamo vedere il bene ed esser grati per i doni che riceviamo? Mi domando: com’è la mia dignità? Com’è la tua dignità? Testimoniamo Gesù oppure spargiamo critiche e sospetti? Siamo liberi di fronte ai pregiudizi o ci associamo a quelli che diffondono negatività e pettegolezzi», domanda il Santo Padre. Soprattutto «siamo felici di dire che Gesù ci ama, che ci salva oppure, come i genitori del cieco nato, ci lasciamo ingabbiare dal timore di quello che penserà la gente?». Allora, «fratelli e sorelle, chiediamo oggi la grazia di stupirci ogni giorno dei doni di Dio e di vedere le varie circostanze della vita, anche le più difficili da accettare, come occasioni per operare il bene, come ha fatto Gesù col cieco».
«E oggi facciamo gli auguri a tutti i papà» nella loro “festa”, cosa non da poco ai nostri giorni. «Che in san Giuseppe trovino il modello, il sostegno, il conforto per vivere bene la loro paternità», dice Francesco nel giorno in cui ricorre anche il suo decimo anniversario di intronizzazione (19 marzo 2013).
Lunedì, 20 marzo 2023