Auto sulla folla e sparatoria. Quattro morti e 20 feriti a Westminster
L’attentatore è un lupo solitario nato (e conosciuto) in Inghilterra
Puoi uscire dall’Europa e da Schengen: vengono a colpirti egualmente. Non c’è Brexit che li fermi se continui ad allarmarti per poche ore dopo l’aggressione, e poi lasci che la preoccupazione vada in prescrizione. Gli attentati di Nizza e di Berlino non sono accaduti decenni fa, padre Jacques Hamel è stato ucciso mentre celebrava la Messa a Rouen nel luglio scorso, eppure in Europa la prevenzione e il contrasto al terrorismo procedono a rilento e fra polemiche, e quando giunge qualche sollecitazione da oltre Atlantico viene vista con sufficienza, se non con fastidio. Interscambio informativo, collaborazione operativa e capacità di organizzare la prevenzione in funzione della tipologia della minaccia lasciano ancora a desiderare. Pur quando la minaccia è prevedibile: nella mitologia jihadista il profilo simbolico dell’attacco al Parlamento inglese vale, esattamente un anno dopo, quanto l’attacco a Bruxelles, a pochi metri dalle istituzioni Ue.
La simbologia è funzionale alla propaganda: se ti dimostro che reagisco all’arretramento dello Stato Islamico colpendo al cuore la città oggi più trendy d’Europa, vuol dire che Allah è grande e che puoi unirti a noi, perché continuiamo a colpire i «Crociati» (non importa se non credono in Dio)!
E da noi? Rispetto agli altri Stati europei l’Italia vanta unabuona rete di sicurezza territoriale, fra stazioni dei Carabinieri e Digos. E poi uno scambio reale di dati tra forze di polizia e fra queste e i servizi, che passa da strutture consolidate come il Comitato analisi strategica antiterrorismo; quindi una legislazione puntuale, che anticipa la difesa già alla progettazione dell’attentato, contrastando condotte preparatorie dell’attività terroristica.
Fino a che punto tutto ciò ci garantisce, alla vigilia delle manifestazioni – non tutte pacifiche – annunciate per il 60° dei Trattati di Roma?
Il modello italiano può proseguire a funzionare e ad arginare il rischio a condizione che:
1) il quadro attuale sia mantenuto al livello di efficienza che ha dimostrato, e quindi per un verso si investano risorse finanziarie, per altro verso non si renda difficile il lavoro delle forze di polizia con imposizioni pseudoeuropee come lalegge sullatortura (che senza prevenire gli abusi creerebbe seri ostacoli operativi);
2) si adottino delle rettifiche sul piano normativo e dell’azione di governo suggerite dalle caratteristiche della minaccia: nessuno nega la differenza fra il clandestino e il terrorista, ma la condizione di sospensione e di difficoltà di controllo che interessa aree di clandestinità è fra quelle nelle quali il terrorismo pesca meglio;
3) che si evitino indulgenze, politiche e giudiziarie, verso ogni tipo di eversione. In vista di sabato, deve essere chiaro che la protesta violenta oggi non si pone solo contro la legge: si pone pure contro quel ponte di solidarietà civile che rende il Tevere non così distante dal Tamigi.
Alfredo Mantovano
Da “Il Tempo” del 23 marzo 2017. Foto da StrettoWeb