Da “Libero” del 22 dicembre 2016. Foto da si24
È che li hanno uccisi col contagocce e perciò non ce ne siamo quasi accorti, ma negli ultimi quindici anni ben 64 italiani sono caduti nella guerra santa che ci hanno dichiarato i fondamentalisti islamici. Le speranze di ritrovare viva Fabrizia Di Lorenzo, scomparsa a Berlino dopo l’attentato del 19 dicembre, sono scarse.
E purtroppo la lista rischia di allungarsi ancora, quindi.
Fossero stati uccisi dalle Brigate Rosse o da terroristi di destra, avrebbero ottenuto i benefici riservati dalla legge alle vittime della violenza politica. Invece si tratta di odio religioso e perciò non riceveranno un bel nulla.
Così, le vedove di Salvatore Failla e Fausto Piano, rapiti in Libia nel luglio del 2015 e ritrovati senza vita a Sabratha, a poca distanza da Tripoli, nel marzo scorso, non avranno nemmeno la pensione perché l’Inps pretende un certificato della prefettura che attesti la condizione di familiare superstite di vittima del terrorismo.
Se Rosalba Castro, la vedova di Failla, non avesse accusato lo Stato di averla abbandonata, quelle due vittime sarebbero state definitivamente sepolte dalla burocrazia.
TARGHE DIMENTICATE
Riconoscimenti ufficiali a parte, la memoria dei connazionali assassinati dai jihadisti sembra relegata a qualche targa o piazza dedicata alla loro tragedia. La data dell’11 settembre 2001, in cui a New York morirono una decina di italiani, è ormai ricordata a malapena. Eppure gli attacchi contro le Torri Gemelle e il Pentagono segnarono l’ inizio di una strage, segmentata ma non ancora conclusa.
Ai parenti si chiede di rassegnarsi e tacere. Per cancellarne ogni traccia, si tolgono dalla circolazione i filmati degli italiani sgozzati, come Fabrizio Quattrocchi, assassinato dai jihadisti il 14 aprile 2004 in Iraq.
Disse: Vi faccio vedere come muore un italiano, ma su quell’ultimo suo eroico momento di vita è calato il silenzio, anzi si è stesa una censura di tomba.
È trascorso più di un decennio da quell’episodio, perciò si dirà che è naturale che la cronaca si occupi di avvenimenti più attuali e vicini nel tempo.
In realtà, il fondamentalismo islamico continua indisturbato a massacrare gente di qualsiasi provenienza e di ogni religione. Compresi gli italiani.
Ma si potrebbero anticipare i risultati di un ipotetico sondaggio sulla notorietà dei nomi di Nadia Benedetti, Cristian Rossi, Marco Tondat, Claudio Cappelli, Vincenzo D’Allestro, Simona Monti, Maria Riboli, Claudia D’ Antona e Adele Puglisi. Eppure hanno trovato una morte orribile molto recentemente, appena il 1° luglio scorso all’ interno di un ristorante a Dacca, la capitale del Bangladesh, nell’assalto di un commando dell’Isis.
Sono stati torturati e poi trucidati senza pietà perché non sapevano recitare il Corano a memoria.
Per qualche giorno, la notizia ha occupato le prime pagine, ma non ne è rimasto nulla. Si preferisce dimenticare, nella speranza che il fenomeno della violenza islamica si attenui da sé, come se bastasse l’ oblìo.
Pochi giorni più tardi, a Nizza, altri sei italiani venivano travolti dal camion guidato da un kamikaze musulmano: i loro nomi, Carla Gaveglio, Maria Grazia Ascoli, Gianna Muset e Angelo D’Agostino, Mario Casati e Nicolas Leslie, al massimo vanno bene per far celebrare qualche messa di suffragio. Ma non si tratta di vicende private.
Sono fatti pubblici, con un rilievo politico e religioso.
Altri quattro italiani, Giuseppina Biella, Francesco Caldara, Orazio Conte e Antonella Sesino, erano caduti sotto i colpi d’ arma da fuoco dell’Isis il 18 marzo 2015, al museo del Bardo di Tunisi. Tanta compassione per loro, molta solidarietà almeno fino ai funerali. Peccato che la loro scomparsa sembri quasi da attribuire a fenomeni atmosferici, come se contro il terrorismo non ci fosse nulla da fare. Si interviene sul cambiamento climatico, ci si impegna con successo nella ricerca per combattere le patologie più gravi. Solo la jihad sembra un fatto ineluttabile, capace di generare reazioni fataliste.
BAMBINI E MILITARI
Il meccanismo è lo stesso anche quando si tratta di bambini. Il 1° gennaio scorso, nel Burkina Faso aveva perso la vita Michel Santomenna di 9 anni, figlio di Gaetano, il titolare del ristorante-caffé Cappuccino di Ougadougou preso d’assalto dai terroristi di Allah. Si sta meglio se non ci si pensa. Invece ci si deve pensare, se si vuole che non capiti ancora.
Anche perché la lista è lunga e comprende, uomini di pace come Giovanni Lo Porto, rapito dai terroristi nel 2012 in Pakistan e ucciso nel maggio 2015 in un raid dei droni americani nella regione di Shawal oppure Sandro Abati, il cooperante di 48 anni vittima di un attacco terroristico a Kabul, in Afghanistan, nel maggio 2015.
Senza dimenticare i militari, impegnati in prima linea per difendere la pace fino all’estremo sacrificio. A Kabul, nel 2009, in un attentato suicida avevano perso la vita sei paracadutisti della Folgore. E in Iraq, il 27 aprile del 2006, tre carabinieri e un paracadutista della brigata Folgore erano rimasti vittime di un attentato.
Gli unici ai quali è stato dedicato un film sono i 19 caduti di Nassiriya, carabinieri, militari e civili, fra i quali il regista Stefano Rolla. Ma anche su quella ricostruzione cinematografica era aleggiata l’ ombra della censura.
Andrea Morigi