Da Libero del 09/10/2018. Foto da Aljazeera
Ancora tre settimane e i brasiliani potranno ballare al ritmo della samba populista di Jair Bolsonaro. Stanchi degli inni dei guerriglieri marxisti, gli elettori hanno già decretato con il 46,1% dei voti il successo alle presidenziali del leader del Partito Social-Liberale, candidato delle chiese evangeliche, sancendo di riflesso la sconfitta del pauperismo cattocomunista. Da decenni ormai le cosiddette «sette» protestanti hanno eroso fedeli alle parrocchie propense a sostenere gli espropri dei poveri «sem terra» ai danni dei ricchi «latifondisti». Così, la percentuale di evangelici è cresciuta dal 3% del 1940 al 22% nel 2010 e nel contempo i cattolici sono scesi al 65% mentre gli agnostici sono aumentati dai 12,5 milioni del 2000 ai 15 milioni del 2010.
Poi il mito della lotta di classe ha finito per stancare anche i suoi sostenitori. L’inversione del meccanismo è perfettamente incarnata da Bolsonaro, 63enne ex capitano dell’ esercito che si presenta come «un cattolico che, per 10 anni, ha frequentato la Chiesa battista» e sintetizza le speranze del Brasile tradizionalmente cristiano nella dichiarazione post-voto: «Ho la certezza che vinceremo al secondo turno, ci sono due strade per il Brasile. Una è quella della prosperità, della libertà, della famiglia, di Dio e della responsabilità. Dall’altra parte c’è il Venezuela». Cioè la fame, la galera e la repressione della libertà di stampa. L’inatteso trionfo reazionario non solo ha fermato il candidato socialista Fernando Haddad al 29,24%, ma anche i suoi compagni di partito più noti, triturati alle elezioni politiche, fra tutti l’ex presidente destituita nel 2016, Dilma Rousseff, finita quarta nel suo collegio dello Stato di Minas Gerais con poco più del 15%. Con quei risultati, la sinistra potrebbe passare dai 70 deputati di quattro anni fa ad appena 57.
PROPAGANDA D’ODIO
Tenteranno la rimonta, facendo appello all’unità con l’altro candidato di sinistra, Ciro Gomes, che ha raccolto il 12,52%, l’esponente di centrodestra Gerald Acmin (4,81%) e la verde pentecostale Marina Silva col suo misero 1%. Mettendosi tutti insieme, raggiungerebbero un teorico 47,57%, risultato peraltro assai improbabile nelle urne. I rossi devono ancora riprendersi dallo shock e per i loro dirigenti e sostenitori non sarà semplice digerire la vittoria di Eduardo Bolsonaro, 34enne figlio del candidato alla presidenza, che è diventato il deputato più votato deputato nella storia del Brasile, con oltre 1,8 milioni di preferenze nello Stato di San Paolo. Oltre a Eduardo, anche il fratello 37enne Flavio è stato eletto al Congresso, ottenendo facilmente uno dei posti di senatore vacanti a Rio de Janeiro, con più di 4 milioni di voti. L’unico strumento propagandistico di cui i compagni brasiliani dispongono è quello, inefficace e controproducente, della demonizzazione dell’avversario, dipinto come «il candidato dell’ultradestra». L’abuso giornalistico del termine, ormai, comprende tutto ciò che non è di estrema sinistra e si è rivelato un’arma a doppio taglio.
PIÙ GALERA PER TUTTI
L’accoltellamento di Bolsonaro il 6 settembre scorso da parte di un militante di sinistra è l’effetto indiretto più tangibile dell’odio verso il nemico. Ma il danno collaterale peggiore, oltre alla trasformazione in martire della vittima dell’ attentato, è la posizione marginale in cui ha rinchiuso gli avversari di Bolsonaro, escludendoli dalla possibilità di essere scelti da chi vuole tutelare la sicurezza, l’ordine pubblico, i valori della famiglia, ed è contrario all’aborto e all’ideologia gender.
Per non parlare della corruzione, tasto dolente per l’opinione pubblica, eccettuati i sostenitori dell’ex presidente carcerato Inacio Lula da Silva. Benché dietro le sbarre con una condanna a 12 anni di detenzione per aver intascato tangenti, è ancora lui a decidere il futuro del Partito dei Lavoratori (Pt). Proprio ieri, Haddad è andato a chiedergli consigli sulle strategie da seguire al secondo turno. I compagni si fidano ancora di Lula, giusto perché nei sondaggi risulta il più popolare dei rivoluzionari. Ma non è sufficiente ad arginare l’ondata antisistema, che accusa i partiti tradizionali – Pt in testa – di rappresentare il marciume della politica dello scambio di favori. Sui social network circola una lista di deputati, da consegnare al giudice Sergio Moro (quello che ha condannato Lula) quando non godranno più dell’immunità parlamentare. Alla tentazione manettara non si resiste. Tanto più che i mercati festeggiano. Ieri la Borsa di San Paolo ha compiuto un balzo di oltre il 6%. Sul fronte dei cambi, il real rimonta del 2,92% sul dollaro che vale ora 3,745 reais. Ed è una chiara indicazione della preferenza degli investitori.
Andrea Morigi