† Franjo Kuharic, Cristianità n. 73-74 (1981)
Non è consueto sentir parlare della condizione della Chiesa cattolica in Jugoslavia. Anzi, si tratta di un argomento solitamente evitato con ogni cura da parte degli strumenti di comunicazione sociale, in quanto suscettibile di gettare un’ombra sul comunismo autogestionario jugoslavo, non poco importante nella mitologia socialcomunista, specialmente nel nostro paese. Così, poca oppure scarsa eco hanno avuto in Italia i recenti attacchi sferrati contro la Chiesa cattolica da Jakov Blazevic, presidente del presidium della Croazia e principale esponente politico di questa repubblica jugoslava. Tali aggressioni si sono espresse attraverso la ripetizione delle false accuse di collaborazione, a suo tempo lanciate contro mons. Alojzije Stepinac, arcivescovo di Zagabria. Nato l’8 maggio 1898, Alojzije Stepinac è arruolato, durante la prima guerra mondiale, come croato nell’esercito austro-ungarico. Nel 1924 entra nel seminario germanico di Roma. Dottore in filosofia e in teologia presso la Gregoriana nel 1930, diventa cerimoniere dell’arcivescovo di Zagabria nel 1931 e si dedica alle opere sociali e al ministero in due parrocchie. Il 28 maggio 1934 è nominato vescovo coadiutore di Zagabria ed è consacrato il 24 giugno seguente da mons. Bauer, al quale succede il 7 dicembre 1937. Il 16 settembre 1946 è arrestato dal governo comunista, e il 13 ottobre dello stesso anno, dopo un processo sommario e iniquo, è condannato a sedici anni dì lavori forzati e alla perdita dei diritti politici e civili per cinque anni. Pio XII lo nomina cardinale nel concistoro del 12 gennaio 1953. Muore il 10 febbraio 1960. È estremamente utile prendere conoscenza del testo integrale della omelia che mons Franjo Kuharic, attuale arcivescovo di Zagabria, ha tenuto nella cattedrale della città croata il 10 febbraio 1981, in difesa della memoria del cardinale Stepinac, intrepido testimone della Chiesa cattolica contro il totalitarismo socialcomunista, in occasione del 21º anniversario della morte dell’eroico prelato. Attenzione particolare merita pure la sottolineatura – evidentemente non gradita al governo jugoslavo – del solido legame storico e spirituale esistente tra la Chiesa cattolica e il popolo croato. Questa coraggiosa omelia, testimonianza di verità storica e di fortezza cristiana, ha già dato dei buoni frutti, incoraggiando il vescovo ausiliare dì Lubiana, mons. Lenic, a sottolineare la necessità di rivedere i processi ingiusti intentati contro il vescovo sloveno mons. Rozman, morto in esilio e dichiarato dai comunisti «servo degli occupanti». Il testo della omelia di mons. Kukaric è tradotto da La Documentation Catholique, anno 63, n. 1808, 17 maggio 1981, pp. 507-511.
In risposta agli attacchi del governo socialcomunista
Il cardinale Alojzije Stepinac intrepido testimone della Chiesa in Croazia
In te, Domine, speravi… (Sal. 31, 1)
Io porrò il diritto come misura
e la giustizia come una livella (Is. 28, 17)
Carissimi fratelli e sorelle,
1. Abbiamo appena ascoltato il discorso della montagna. Con questo discorso la parola di Dio ha annunciato lo spirito del suo regno e ha tracciato i principi della nuova storia, gettato le basi per un mondo migliore. Le beatitudini pronunciate sulla montagna formeranno negli uomini un cuore nuovo; è la legge nuova dell’alleanza eterna tra Dio e l’uomo. Dal suolo delle beatitudini sorgeranno nella Chiesa gli uomini di Dio: i giusti, i martiri, i santi. Essi sono liberi da tutti i miti della potenza, del potere, della ricchezza; hanno sete di verità e fame di giustizia; hanno il cuore puro e sono pacifici; sono misericordiosi; alla violenza contrappongono l’amore; inflessibili e forti, sono testimoni della verità anche quando sono perseguitati. Anche se sono schiacciati dall’odio ingiusto, niente può uccidere in loro la speranza che la vittoria definitiva spetta sempre alla verità e all’amore. Dio è garante di questa vittoria che non inganna mai. «Beati quelli che soffrono a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli» (1).
2. Lo spirito umano riesce a passare attraverso le tempeste delle prove portando con sé questa speranza inestinguibile solo grazie alla forza dello Spirito Santo. Questa forza viene dall’alto (2).
A Londra, all’alba del 22 giugno 1535, saliva al patibolo il cardinale John Fischer, vescovo di Rochester. Egli era stato condannato a morte per ordine del re Enrico VIII perché era rimasto fedele alla sua fede e alla sua coscienza. Andava incontro alla morte recitando il Te Deum laudamus e il salmo 31: «In te, Domine, speravi!» «In te, Signore, è il mio rifugio». Questa preghiera esprimeva la pace dell’anima e l’invincibile speranza ispirata dalle beatitudini della vita eterna (3).
3. Quando nel 1934 Alojzije Stepinac, sacerdote dalla vita irreprensibile, dopo un’angosciosa lotta interiore, accettò per obbedienza la carica di arcivescovo di Zagabria, vedendo nella decisione del Papa la volontà di Dio, dalla sua anima salì il grido dello stesso salmo 31: «In te, Domine, speravi». Dopo la sua accettazione il nunzio apostolico gli scrisse: «Vi ringrazio per aver accettato di portare, come il buon cireneo, la croce splendida ma anche pesante e spinosa della chiesa di Zagabria» (4).
4. Siamo convinti che nella storia nove volte secolare della diocesi e poi arcidiocesi di Zagabria non vi sia mai stato per il pastore di questa Chiesa periodo più difficile di quello che va da prima della seconda guerra mondiale agli anni immediatamente successivi a essa. Alojzije Stepinac è stato il 72º vescovo sulla cattedra episcopale di Zagabria, ma nemmeno uno dei suoi predecessori si è trovato di fronte ad avvenimenti così terribili e tragici come fu per il nostro cardinale di felice memoria. Nessuno dei suoi predecessori è passato attraverso una tale tempesta di prove, nonostante che per la Chiesa e per il popolo i tempi siano stati sempre difficili. Egli, che era sempre stato un predicatore coerente del Vangelo, della più sublime dottrina dell’amore, fu accusato delle colpe più gravi come nemico dell’uomo come nemico del popolo croato e anche come responsabile delle disgrazie della Chiesa. Ciò è avvenuto nella prima metà di questo secolo XX; per la prima volta nella nostra storia il vescovo di Zagabria è stato tradotto in giudizio sotto la mostruosa accusa di essere un criminale.
5. Tale accusa viene ripetuta incessantemente; anche in questi giorni la si è rinnovata davanti a un vastissimo pubblico, tramite la radio e la stampa, da parte della più alta autorità politica della repubblica socialista della Croazia. Siamo nel 1981, ma siamo ancora costretti ad ascoltare il duro linguaggio di un passato molto lontano. Ci sentiamo gravemente e profondamente offesi di ciò, sia come Chiesa che come figli e figlie del popolo croato, in patria e all’estero.
6. Dopo le dichiarazioni e i segni manifestati al più alto livello, che esprimevano il desiderio di fare dei passi avanti sul piano di una maggiore stima reciproca e di un rispetto più sincero dei diritti e della dignità dell’uomo, siamo di nuovo risospinti verso il passato. Nonostante desideriamo guardare verso un futuro più sereno, verso il quale speriamo che la storia proceda, anche se con passi faticosi e pesanti, siamo di nuovo gettati nell’oscurità di quell’epoca che ha lasciato in milioni di persone profonde ferite.
7. Lo ripetiamo ancora una volta: quell’atto di accusa è inaccettabile; la sua autorità non viene dalla verità ma dalla forza del potere. Infatti, un giudizio obiettivo e giusto su questo sanguinoso dramma della guerra non lo può dare solo una delle parti del molteplice conflitto. Sarà la storia a pronunciare il suo giudizio su tutto questo. Per giudizio della storia pensiamo all’analisi obiettiva e giusta di tutti i fatti, come anche dell’intero contesto degli avvenimenti, che hanno le loro cause e i loro precedenti. Per giudizio della storia intendiamo un esame scientifico degli avvenimenti e delle persone che, prescindendo da ogni propaganda tendenziosa, da fini politici e regolamenti di conti, ricerchi solo la pura verità per ottenere un giudizio corretto e perché ogni cosa sia messa al suo posto. Non sono rari i casi in cui il giudizio della storia ha riabilitato molte persone e proclamato innocenti coloro che i vari tribunali hanno condannato come criminali. E infine, dopo Gesù Cristo, tutti i martiri sono stati giudicati come criminali. E per lui, il più innocente dei giusti, gli accusatori hanno gridato davanti a Ponzio Pilato: «Se non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato» (5). Pilato giudicava anche contro la sua coscienza.
8. Quando facciamo appello al giudizio della storia, ci riferiamo ai principi etici permanenti, oggettivi e universali, che obbligano la coscienza e regolano il giusto comportamento verso l’uomo. Questi principi sono il fondamento di giusti rapporti nazionali e internazionali. Noi crediamo ai principi etici oggettivi, il cui valore e la cui obbligatorietà non dipendono da qualche potenza, potere o sistema di questo mondo. Nel giudicare le azioni umane e i drammi della storia solo il rispetto dei principi etici fondamentali allontana dai processi qualsiasi ingiustizia, menzogna e odio. Nessun interesse può permettere che un innocente sia condannato come colpevole; inoltre è inammissibile che l’errore di un colpevole venga esagerato ed esteso a comunità e a interi popoli o a parti in una controversia; nei processi giuridici il difensore deve avere la stessa libertà e gli stessi diritti che sono assicurati all’accusatore. Il giudizio della storia è quello che dice il profeta Isaia: «Io porrò il diritto come misura e la giustizia come una livella» (6). Purtroppo i processi politici sono quasi sempre esposti al rischio di essere più gli strumenti della vendetta che non della giustizia.
Per noi fedeli il discorso della montagna è la garanzia che Dio, signore e giudice della storia, pronuncerà la sentenza finale su ogni vita e su tutta la storia.
9. Dopo la santa morte del cardinale Alojzije Stepinac, Papa Giovanni XXIII, durante l’ufficio funebre nella basilica di San Pietro, ha reso testimonianza all’arcivescovo dicendo: «La figura semplice e degna di rilievo di questo padre e pastore della Chiesa di Dio era molto cara alla mia anima […]. Il cardinale Stepinac, che ha dato alla sua celebre arcidiocesi 26 anni del suo episcopato, era veramente l’immagine incoraggiante del buon pastore. Soprattutto, per il suo infaticabile e fervente lavoro apostolico. Poi, negli ultimi e troppo lunghi anni dalla dolorosa separazione, egli ha accumulato una tale ricchezza di meriti che in cambio il Padre celeste li ha sicuramente iscritti nel capitale di grazie e benedizioni per tutte le famiglie e per tutti i fedeli della fervente e devota Croazia» (7). Il Papa conosceva sicuramente a fondo il dramma del defunto cardinale Stepinac per poter dire questo davanti a tutto il mondo.
Nella cattedrale di Milano, il cardinale Giovanni Battista Montini, il futuro Papa Paolo VI, presiedeva l’ufficio funebre. Durante la sua omelia egli ha posto questa domanda: «Si può arrivare a supporre che un cardinale arcivescovo non ami il suo paese o non osservi lealmente le leggi giuste? Come non si può negare la luce del sole, così non si può mettere in dubbio questo. Ed è possibile che egli dia motivo a uno stato, che merita questo nome, di giudicarlo in modo così spietato? Oppure è forse la forza che crea il diritto? E quale diritto?» (8).
A queste domande rispondono facilmente tutti coloro che ricordano gli avvenimenti da vicino e tutti coloro che, veramente senza partito preso, possono leggere tutta la documentazione e la testimonianza stessa della vita personale del cardinale. E nelle anime rette dei giovani che non conoscono le cose per esperienza diretta e che sentono ripetere solo l’accusa, può sorgere l’angosciosa domanda: dov’è la verità?
10. Per poter dire tutta la verità, bisognerebbe ripetere tutto il processo e mettere in luce tutto, assolutamente tutto quello che qualcuno ha fatto e detto e quali principi ha sostenuto. Bisognerebbe fare un’analisi fedele, imparziale e completa di tutta l’epoca, del ruolo e delle azioni di tutti coloro che ne sono stati partecipi e che sono stati proiettati nell’orribile turbine della guerra mondiale, civile e rivoluzionaria. Per un processo di questo genere ci vorrebbe veramente un tribunale internazionale dotato di sufficiente obiettività scientifica, indipendenza politica e responsabilità etica per pronunciare il giudizio.
Come vediamo, il processo di riabilitazione del cardinale Stepinac non è realizzabile nel nostro paese.
11. Come poteva comportarsi un arcivescovo, fedele alla propria coscienza, in quel tempo dominato da problemi e conflitti politici, nazionali, sociali, economici? Quale atteggiamento poteva prendere l’arcivescovo di Zagabria in una guerra in cui erano impegnati calcoli, ambizioni, forze e interessi opposti, ingiustizie antiche e vendette nuove, in una guerra in cui lottavano fra di loro veri e propri mondi? Egli non poteva che difendere il punto di vista dei solidi princìpi etici, che gli dettavano la sua fede e la sua coscienza.
L’arcivescovo Stepinac ha seguito questi tre princìpi chiari e universali:
a. Nessuno ha il diritto di disporre autonomamente della vita umana o di fare qualsiasi violenza alla dignità della persona umana;
b. Ogni popolo ha diritto alla sua libertà, alla sua identità e sovranità; logicamente, se questo vale davvero per ogni popolo, senza alcuna eccezione, allora vale anche per il popolo croato. Sostenendo, dunque, questo principio, egli è stato patriota, amico del suo popolo e rispettoso di tale principio nei confronti di ogni altro popolo;
c. La Chiesa ha diritto alla piena libertà di adempiere alla propria missione spirituale in ogni popolo, sistema o tipo di Stato. Egli ha difeso la Chiesa. A causa di questi princìpi si opponeva a ogni sistema totalitario.
12. Egli ha difeso l’uomo. Per provare questa affermazione esiste una documentazione molto ampia; vi sono anche testimonianze alle quali nessun atto di accusa può togliere la loro forza di verità.
In questi ultimi anni la Santa Sede ha pubblicato, in numerosi fascicoli, i documenti relativi alle attività della Santa Sede e della Chiesa cattolica durante la seconda guerra mondiale a favore di coloro che furono vittime di sistemi o di ideologie di qualsiasi parte. Il nono fascicolo di 687 pagine porta il titolo: La Santa Sede e le vittime della guerra – Gennaio-dicembre 1943. Si tratta dell’edizione della biblioteca editrice del Vaticano del 1975.
Nel fascicolo citato, da pagina 224 a pagina 229, si trova la Tavola riassuntiva dei documenti riguardanti l’atteggiamento della Chiesa cattolica verso gli ortodossi e non-ariani perseguitati e consegnati dall’arcivescovo di Zagabria mons. Stepinac al cardinale Maglione (9).
Per il periodo che va dal maggio 1941 alla fine di maggio del 1943 vi sono enumerati 33 documenti che contengono proteste, interventi, richieste a favore di tutti i perseguitati.
Sotto il numero 1 leggiamo: Intervento dell’arcivescovo di Zagabria contro la fucilazione di ostaggi serbi effettuata nei primi giorni della creazione dello Stato croato (10).
Sotto il numero 2 leggiamo: Lettera al Poglavnik per protestare contro la fucilazione di 260 serbi a Glina fatta dagli ustasci, 14 maggio 1941 (11).
Sotto il numero 3 è scritto: Circolare circa la conversione degli «ortodossi»: vive raccomandazioni al clero perché non si ammettano alla Chiesa cattolica se non persone sincere, ben istruite e in stato di vivere secondo i principi della morale cattolica, 15 maggio 1941 (12).
13. Per quanto riguarda la conversione degli ortodossi alla Chiesa cattolica, l’arcivescovo, nel suo discorso al tribunale, ha detto quanto segue: «Su questo argomento non scenderò in maggiori dettagli, ma dico che la mia coscienza è pura e la storia un giorno darà il suo giudizio. È un dato di fatto che ho dovuto trasferire parroci minacciati di morte da parte di ortodossi perché dei serbi volevano ucciderli a motivo della loro resistenza a tali conversioni. È un dato di fatto che la Chiesa durante l’ultima guerra ha dovuto intrufolarsi attraverso le difficoltà come un serpente e si è tesa la mano al popolo serbo con l’intenzione di aiutarlo come si poteva» (13).
Riguardo a quello che pensava a proposito di Jasenovac, lo si vede nella lettera di protesta scritta a Pavelic, quando furono fucilati nel campo alcuni sacerdoti sloveni. Nella lettera del 24 febbraio 1943 egli scrisse quanto segue: «È una macchia vergognosa e un delitto che grida vendetta verso il cielo, come il campo stesso di Jasenovac è una macchia vergognosa per lo Stato croato indipendente» (14). Egli chiede che gli assassini siano giudicati. Ricordiamo qui che l’arcivescovo Stepinac ha accolto nell’arcidiocesi di Zagabria circa 200 preti sloveni salvandoli così dalla deportazione.
14. Se alla direzione del campo di Jasenovac si trovava un apostata, che calunnia mostruosa è affermare che «preti cattolici ordinavano queste carneficine umane»! Con questa accusa si vorrebbe rendere il cardinale Stepinac responsabile delle 40.000 vittime che si attribuiscono al campo di Jasenovac. Come potrebbe essere responsabile di questo, quando odiava qualsiasi crimine commesso da chicchessia contro l’uomo e contro il popolo? Egli fu sinceramente addolorato per le sofferenze del popolo serbo, ma lo fu anche per quelle del popolo croato, contro il quale furono ugualmente commessi pesanti crimini. Vi sono cimiteri sui quali non esistono pietre tombali, ma solo vittime ricoperte dal silenzio.
15. Egli si è impegnato anche a favore degli ebrei con tutta la sua autorità.
Nella documentazione della Santa Sede sopracitata leggiamo, a pagina 337, un estratto della lettera che il dr. Weltmann scrisse l’11 giugno 1943 al delegato apostolico a Istanbul, mons. Roncalli, che successe a papa Pio XII col nome di Giovanni XXIII. A Istanbul il dr. Weltmann era delegato di una commissione di soccorso a favore degli ebrei europei. Egli scrisse: «Sappiamo che mons. Stepinac ha fatto tutto il possibile per aiutare e facilitare l’infelice sorte degli ebrei di Croazia il cui numero, secondo le nostre informazioni, non supera oggi i 2500 tra uomini, donne e bambini. Vi preghiamo di voler comunicare a mons. Stepinac i nostri profondi ringraziamenti per la sua condotta e il suo aiuto e lo preghiamo di continuare, grazie al suo alto prestigio, la sua azione a favore dei nostri infelici fratelli, sorelle e figli…» (15).
16. Questa esposizione diventerebbe troppo vasta se si volessero citare le dichiarazioni dell’arcivescovo, i discorsi e le testimonianze a suo favore. Questo fu compito della difesa durante il processo, ma questa difesa ebbe troppo poco tempo per raccogliere tutta la documentazione e tutte le testimonianze che avrebbero dimostrato che le cose non erano andate come affermava l’accusa.
Lo stesso processo fu accompagnato da una campagna veramente furiosa contro l’arcivescovo sulla pubblica stampa, alla radio, nelle fabbriche, senza che nessuna voce potesse pronunciare una sola parola a sua difesa. Si accusava «in nome del popolo»; si giudicava «in nome del popolo», ma questo popolo non aveva diritto a un’informazione completa.
Quando l’avvocato dr. Ivo Politeo chiese di ascoltare alcuni importanti testimoni della difesa, tra i quali c’erano anche dei serbi che godevano di una certa considerazione, il procuratore rispose: «Se si volesse basare la difesa su queste testimonianze sarebbe una vera bestemmia». E l’avvocato ha coraggiosamente risposto: «Voi avete detto: sarebbe una bestemmia. Io dico anche che sarebbe una bestemmia se si interrogassero solo i testimoni a carico. Vi ricordo che la sentenza che sarà pronunciata dal tribunale è a istanza unica, e contro di essa non ci sarà alcuna possibilità di appello. Inoltre, la mia richiesta ha una portata mondiale, che attira l’attenzione di tutto il mondo. Ed è per questo che chiedo che siano ammessi i testimoni» (16). I testimoni furono rifiutati. S.E. il cardinale Franjo Seper ha detto ieri, durante la sua dichiarazione alla radio vaticana, che anche lui era tra questi testimoni.
Noi dichiariamo ancora una volta: se si ripete continuamente l’imputazione senza che si possa mai rendere nota tutta la documentazione della difesa, si impone a questa il silenzio totale e quindi un giudizio di questo genere non è attendibile.
17 Per quanto riguarda le scelte politiche dell’arcivescovo Stepinac, egli non apparteneva a nessun partito politico. L’affermazione che egli fosse ustascia è una calunnia talmente evidente che non c’è nemmeno bisogno di confutarla. Egli distingueva sempre tra due concetti: il popolo e i partiti politici; sono due cose diverse. Egli era anche contrario all’ingresso dei sacerdoti in un qualsiasi partito politico. Voleva che fossero liberi da tutti e di fronte a tutti per la loro missione specifica di sacerdoti. Era fermamente contrario alla formazione di un qualsivoglia partito politico clericale. Nella circolare n. 8976/45 del 17 dicembre1945, egli scrisse ai sacerdoti: «Voi conoscete, carissimi fratelli nel sacerdozio, la nostra posizione riguardo alla attività dei preti in politica. Nelle circolari che vanno dal 1935 fino al 1938 ho fatto divieto, in conformità con le ordinanze chiare del diritto canonico, a tutti i sacerdoti attivi di presentarsi alle elezioni in nessuna lista. Ho mantenuto tale posizione nel 1943 e vi ho insistito nei miei discorsi e la mantengo ancora oggi, non avendo alcuna ragione di cambiarla. In tale, modo ho voluto declinare ogni responsabilità della Chiesa nell’attività politica pubblica di alcuni sacerdoti. Questo vale anche per l’attività politica di ogni sacerdote in questo momento. Per ogni attività sul piano politico ogni sacerdote ne è responsabile personalmente».
Nella stessa circolare egli scrisse anche questo: «La Chiesa chiede di poter compiere la sua missione e di regolare i suoi rapporti con i poteri dello Stato come libera rappresentante di una Chiesa libera in uno Stato libero».
18. Sui problemi e gli avvenimenti che hanno seguito la guerra egli scrisse lettere ricche di argomenti alle persone maggiormente responsabili della Repubblica di Croazia e della Repubblica federativa di Jugoslavia. Egli commentava le proposte, indicava gli avvenimenti deplorevoli e le gravi violazioni dei diritti dell’uomo. Era sincero nei riguardi di ogni potere. E questo non è certo un reato. Quando veniva attaccato pubblicamente, dopo la guerra, perché riceveva molte persone che chiedevano il suo intervento per i prigionieri, i dispersi, per i condannati a morte, il cui numero non era piccolo, egli scrisse al presidente del governo della Repubblica di Croazia: «Non ho potuto respingere e nemmeno cacciare questi uomini, allo stesso modo in cui per quattro anni non ho potuto respingere nessuno dei vostri quando venivano a chiedere di intervenire per loro» (17).
Quando i rappresentanti del capitolo di Zagabria, con alla testa il vicario generale e vescovo mons. Franjo Salis, furono ricevuti dal maresciallo Tito a Zagabria il 2 giugno 1945, essi gli presentarono, fra l’altro, i seguenti dati sull’arcivescovo:
«a. Voi avete oggi nel vostro governo degli uomini ai quali egli ha salvato la vita con i suoi interventi.
b. Durante la guerra egli ha sfamato 7.000 figli di partigiani senza chiedere se fossero croati o serbi, cattolici o ortodossi.
c. Nei suoi discorsi e interventi egli ha interceduto per i serbi, gli ebrei e gli zingari e ha salvato numerose vite.
d. Egli ha parlato e protestato contro le leggi razziste, contro le violenze ipernazionaliste, contro la cattura di ostaggi e l’impiccagione di tanti innocenti». Ecc…
19. Ci sarebbero ancora molte cose da dire, ma in questa sede non è possibile. Si potrebbe rispondere in modo dettagliato e documentato a ogni affermazione e a ogni insulto dell’ultima accusa. Tuttavia, lasciamo tutto questo alla storia.
Né l’arcivescovo Stepinac né i suoi successori sono «un gruppo straniero», che «conduce per conto di altri una lotta contro il popolo croato». Tanto più che «la Chiesa di Stepinac» non è una Chiesa diversa da quella alla quale crediamo, cioè la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica; la Chiesa fedele a Gesù Cristo e raccolta intorno ai successori di Pietro e ai suoi vescovi. È la Chiesa radicata già da tredici secoli nella realtà del popolo croato; essa ne condivide il destino, sempre con lui, mai contro di lui. È la Chiesa che ha la sua origine in Gesù Cristo, nostro Dio e nostro salvatore, non è un’importazione. La maggior parte del popolo croato è questa Chiesa.
20. Sempre più spesso molte persone al di fuori della Chiesa ci danno lezioni su quello che la Chiesa, secondo il loro modo di vedere, dovrebbe essere, per poter essere chiamata «Chiesa conciliare». Dovrebbe essere una Chiesa anarchica dal punto di vista disciplinare, senza una fede unica e senza principi morali definiti; una Chiesa di questo tipo perderebbe presto ogni libertà e dignità.
Noi non rinunciamo alla nostra Chiesa per far piacere a qualcuno, alla nostra Chiesa così come essa è nel suo mistero e nella sua comunione più perfetta. La Chiesa che guida oggi Giovanni Paolo II è stata sempre la stessa nel corso dei secoli. In questi anni difficili del dopoguerra, a fianco di tanti vescovi, sacerdoti e fedeli, attraverso le prigioni e le umiliazioni, hanno testimoniato per questa Chiesa sei cardinali: Josip Slipyj di Lavov, Stefan Wyszynski di Varsavia, Josip Beran e Stjepan Trochta di Praga, Josef Mindszenty di Esztergom, Alojzije Stepinac di Zagabria.
Noi non ci consideriamo affatto retrogradi se rispettiamo queste testimonianze e se amiamo questa Chiesa. Noi non giochiamo nessun gioco, ma facciamo semplicemente il nostro dovere e rimaniamo fedeli a Dio, alla Chiesa di Dio e alla nostra coscienza.
Nella sua circolare ai sacerdoti del 17 dicembre 1945, l’arcivescovo Stepinac scrive: «Qualunque cosa succeda in futuro, noi non abbiamo niente da aggiungere a nostra difesa. La nostra difesa è Dio, una coscienza pura, e il testimone è al vostro fianco, venerati fratelli nel sacerdozio, la stragrande maggioranza del popolo fedele e la delegazione della Santa Sede a Zagabria».
Così si compie in lui la parola della sacra Scrittura: «Beato chi non ha nulla da rimproverarsi e chi non ha perduto la sua speranza (18).
21. E ora termino! Non ci saremmo occupati del passato se non vi fossimo stati costretti. Il cardinale arcivescovo Alojzije Stepinac ha realizzato il comandamento dell’amore nei riguardi di ogni uomo, nei riguardi del suo popolo e nei riguardi della Chiesa. Per questo mai e in nessun caso desideriamo vedere questo testimone dell’amore come uno stendardo dell’odio nei riguardi di chiunque. Crediamo al divino discorso della montagna, ma dobbiamo proclamare la verità che nessuno può svezzare la nostra comunione, che nessuno può dividere la sincera coesione dei vescovi, dei sacerdoti e dei fedeli nell’unità della fede e dell’amore. Noi desideriamo servire onestamente l’anima e la coscienza del popolo a cui apparteniamo per nascita, per coscienza e per cuore. È quanto ci insegna il Vangelo.
Noi non desideriamo inasprire i rapporti con nessuno, ma non possiamo rinunciare né alla verità né alla nostra dignità umana. Noi preghiamo per la pace tra gli uomini e i popoli e nell’umanità. Che la santa Madre di Dio, regina della pace, chieda insieme a noi questo dono. Noi desideriamo la pace, ma nella giustizia, nella verità, nell’amore e nella libertà! Amen.
† Franjo Kuharic
Arcivescovo di Zagabria
Cattedrale di Zagabria, 10 febbraio 1981.