Di Filippo Rizzi da Avvenire del 14/01/2020
Lo storico del papato, il medievista Agostino Paravicini Bagliani, leggendo le anticipazioni de “Le Figaro” sul libro in uscita in Francia Dal profondo del nostro cuore edito da Fayard scritto dal papa emerito Benedetto XVI e dal cardinale Robert Sarah in difesa del celibato intravede una lunga traccia di coerenza su questo tema da parte del Papa emerito. «Si tratta di un contributo autorevole in cui emerge la finezza teologica di Ratzinger.
Sarà ora interessante leggere tutto il saggio per capirne la profondità – è l’argomentazione dello studioso che è presidente della Sismel (Società internazionale per lo studio del Medioevo latino) –. Sono rimasto molto colpito dalla tesi di fondo in cui affiora molto dello stile del “Ratzinger professore”: cioè dell’intimo legame ontologico-sacramentale tra sacerdozio e celibato. Si tratta di una tradizione antichissima, quella del celibato, spiega Benedetto XVI, che rappresenta una prassi che risale ai primi secoli, al primo millennio ma che si radica successivamente soprattutto dall’XI secolo in poi». E sottolinea: «Nella mia veste di storico mi sono trovato nella chiave di lettura proposta da Ratzinger quando afferma che il sacerdote si identifica integralmente con Cristo e il suo Corpo. Questo prassi del celibato diventa norma per la Chiesa con il Concilio Lateranense IV del 1215 in cui si afferma che “Gesù è presente nell’Eucaristia per transustanziazione, cioè per cambiamento dell’intera sostanza del pane e del vino nel suo Corpo e nel suo Sangue”». E annota un particolare: «Una delle ragioni per cui il celibato ecclesiastico si diffonde e si “impone” nella Chiesa latina è proprio grazie alla dottrina della “transustanziazione” dove viene ribadita l’identificazione del sacerdote con Cristo in modo molto più profonda rispetto al passato». E aggiunge un dettaglio singolare: «Perché, così dicono i teologi di quei secoli, il prete in quanto celibe nel solco della purezza di Gesù è colui che amministra il Sacramento eucaristico ». Ed è proprio tra l’XI e il XIII secolo– a giudizio del professore – che il celibato ecclesiastico diventa il modello perfetto alle luce anche del «sacrificio eucaristico» in cui «il sacerdote si identifica con Gesù e il suo Corpo». Ma non solo. «Non è un caso che è proprio in questo periodo storico – rivela – che vengono codificate le norme in cui il candidato al presbiterato deve avere un corpo integro, non mutilato, per essere sempre più a immagine e somiglianza di Gesù e del suo Corpo glorioso». Il professor Agostino Paravicini Bagliani intravede anche un filo-rosso di continuità tra i pronunciamenti sul «mantenimento della legge del celibato come dono per la Chiesa» tra Benedetto XVI e Francesco. «Basti pensare alla bellissima frase di Paolo VI citata da Bergoglio di ritorno da Panama – osserva ancora –:“Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del celibato!”». Il professor Agostino Paravicini Bagliani intravede un filo-rosso di continuità persino nella veste bianca del Papa che è indossata oggi da un Pontefice emerito e da quello regnante – cosa che non avvenne quando più di 700 anni fa, Celestino V, il papa “del gran rifiuto”, rinunciò alla sua dignità di papa, rivestendo l’abito di monaco: «La veste bianca è simbolo e vestigia dell’essere “Vicari di Cristo in terra”». «Il colore bianco della veste del papa, come disse per la prima volta in un sermone papa Onorio III (1216-1227) –è l’argomentazione del medievista – simboleggia l’innocenza di Cristo mentre il rosso ne rimarca il senso del martirio. Per secoli il cerimoniale papale ricorderà che il Papa deve essere vestito di rosso e di bianco. Non a caso questa prassi di abiti è continuata dal 1200 fino ad oggi». E osserva ancora: «E questo libro fa affiorare una genuina verità su Benedetto XVI: conosce bene la storia della Chiesa!».
«La tradizione celibataria richiama nel prete la purezza di Cristo. E si impose con il Concilio Lateranense IV collegandola all’Eucaristia», Paravicini Bagliani
Foto da articolo