Un criceto che corre affannosamente nella ruota, senza requie ma sempre al punto di partenza. È l’immagine che viene in mente pensando agli acquisti compulsivi di una società con consumatori sempre più anziani, soli, in numero calante a causa del continuo declino demografico. Una società affannata e senza prospettive.
Il termine “consumismo” va sicuramente usato con cautela, pensando ai molti che purtroppo i consumi possono permetterseli sempre meno e per non rischiare di cadere nelle solite ramanzine moralistiche contro la società “consumistica”: supermercati con scaffali vuoti non sono certamente auspicabili.
È però vero che il trend pluridecennale di declino demografico in atto in Italia e nella maggior parte dei Paesi sviluppati comporta un calo continuo nel numero dei consumatori. Consumatori sempre più anziani e con meno bisogni, a parte quelli legati alla cura della persona, che “devono” quindi moltiplicare gli acquisti per mantenere inalterato il “monte acquisti”, la mitica “domanda aggregata”.
Di qui una spinta crescente da parte dei produttori a fomentare acquisti di beni e servizi a ritmi sempre più insostenibili, che portano a vere e proprie derive di acquisti compulsivi: per chi può permetterselo, ovviamente.
Consumismo quindi, ma che cosa è esattamente “consumismo”? Impossibile forse darne una definizione valida sempre ed ovunque perché gli stili di consumo sono necessariamente influenzati culturalmente e legati all’evoluzione dell’offerta di merci e servizi, quindi tra i consumi “necessari” per un italiano di inizio terzo millennio possono comparire beni considerati “di lusso” o semplicemente inesistenti anche solo poche generazioni orsono o inimmaginabili per un contemporaneo dell’Africa sub-sahariana.
Acquistare e possedere uno smart-phone è oramai “necessario” quasi per tutti, pena essere disconnessi da persone ed informazioni; cambiarlo ogni sei mesi, invece, è certamente un atteggiamento consumistico. E gli esempi si potrebbero moltiplicare, ovviamente con molte zone grigie.
La spinta a consumi fini a se stessi, quasi ossessivi, non è solo l’effetto di pubblicità sempre più invasive, di comportamenti emulativi o di un’insoddisfazione radicale nella propria vita che si cerca invano di sublimare nello shopping selvaggio. È anche conseguenza dei tassi di interesse schiacciati verso lo zero. Dov’è l’incentivo al risparmio se questo non viene remunerato o addirittura rischia di perdere nel tempo potere d’acquisto?
Le politiche monetarie ultra-espansive – tassi a zero – portate avanti dalla Bce e dalle altre Banche Centrali servono non a rilanciare l’economia, come dichiarato ufficialmente, ma a mettere sotto controllo debiti pubblici altrimenti insostenibili per il crollo demografico e la crescita asfittica. Il costo di tali politiche è ovviamente a carico dei risparmiatori, e ciò non solo scoraggia il risparmio ma incentiva anche acquisti “a debito”, e non solo per comprare casa ma anche per finanziarsi le vacanze. Carte di credito e finanziamenti al consumo “a gogò”, ipotecando così il futuro indebitandosi sempre più. Una spirale negativa che col tempo toglie sempre più spazio a scelte libere e consapevoli.
Più consumi, meno risparmi e meno investimenti, in una società sempre più vecchia e sola, che compensa così la mancanza di progettualità e di quella proiezione nel futuro resa possibile solo dalla famiglia e dai figli. Una società alla “Sex and the city” per chi può permetterselo, di persone fondamentalmente sole – “single” suona meglio ma la sostanza non cambia -, che pensa alla vita come una serie di insulsi “Happy hour“, senza impegni, progetti, responsabilità. Senza senso. Una società di persone sempre più anziane con la sindrome di Peter Pan, che sfogano in inutili acquisti – destinati ad essere rottamati in tempi brevi – risorse preziose che avrebbero potuto essere dedicate nei tempi giusti alla creazione di famiglie ed a consumi utili, con una prospettiva sensata.
Il rilancio della natalità è la contro-misura per contrastare derive consumistiche ed individualistiche: prediche contro l’egoismo ed il consumismo, per contro, sono del tutto inutili; occorre invece far rinascere nei giovani la nostalgia di progetti di vita che valgano davvero la pena di essere vissuti, nonostante i sacrifici che comportano. “Duc in altum!”, prendere il largo senza accontentarsi di uno sterile cabotaggio sottocosta.
Aiutare la famiglia ed incoraggiare il risparmio sono i veri antidoti contro la “società dei consumi” ripiegata solipsisticamente sul proprio ombelico. Per una “società degli investimenti”, proiettata nel futuro, dove una rinnovata virtù della sobrietà non sia stoicismo fine a se stesso ma sacrificio cosciente al servizio della crescita e dello sviluppo.
Con un “di più” di possibile felicità incluso nel pacchetto… per non fare la fine del criceto nella ruota.
Martedì, 17/01/2017