di Marco Invernizzi
Il mese di ottobre è il mese missionario. Un tempo era semplice: c’erano le missioni ad gentes, cioè rivolte ai popoli che ancora non avevano conosciuto il Vangelo, per cui nei Paesi cristiani si salutavano i missionari che partivano per le missioni o si ascoltavano quelli che ritornavano appunto per testimoniare quanto avveniva in terra di missione.
Oggi la terra di missione è però anche la nostra, è l’Europa secolarizzata e scristianizzata, dove i cristiani sono una minoranza spesso emarginata e ininfluente.
Per superare questa situazione è stata lanciata l’idea di una nuova evangelizzazione, espressione usata per la prima volta da san Giovanni Paolo II (1920-2005) in Polonia nel 1979, ma in realtà già presente nel magistero del Servo di Dio Pio XII (1876-1958). Lo scopo è la consecratio mundi, come diceva san Paolo VI (1897-1978), cioè l’animazione cristiana dell’ordine temporale, come scrive il decreto del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) sull’apostolato dei laici Apostolicam actuosistatem, del 1965.
Varrebbe la pena riprendere questi temi e affrontarli all’interno del mondo cattolico, perché esistono confusioni e fraintendimenti che dovrebbero essere superati.
Per esempio Papa Francesco invita alla testimonianza cristiana in ogni situazione possibile e alla trasformazione missionaria di tutta la pastorale della Chiesa, mentre mette in guardia dal pericolo del proselitismo, riprendendo il predecessore Benedetto XVI, quando ricordava che il cristianesimo deve diffondersi per attrazione. Il proselitismo consiste infatti in un uso improprio di mezzi umani per diffondere la fede e nel disprezzo di chi non crede nella nostra stessa fede.
Non è però questa, appunto, la prospettiva cattolica, anche se resta una tentazione sempre possibile dei cattolici. Tuttavia non è nemmeno questo il problema della Chiesa oggi, almeno in Occidente. Un tempo, fino al 1989, esistevano le famiglie ideologiche, che si combattevano fra loro culturalmente, a volte anche fisicamente. I cattolici, che non professano una ideologia ma la fede nella Rivelazione, erano tuttavia diventati una di queste famiglie, in competizione con comunisti, fascisti, azionisti, liberali, e così via. Finita l’epoca delle ideologie, sono venute meno le famiglie ideologiche, peraltro in un mondo più scristianizzato. In questo contesto nasce il progetto di una seconda evangelizzazione degli antichi Paesi cristiani, che presuppone un atteggiamento di apostolato rivolto a tutti: si tratta dell’annuncio di Gesù Cristo figlio di Dio e Salvatore.
Ogni Successore di Pietro, a partire da Pio XII, ha chiamato questo atteggiamento con nomi diversi. Per il regnante Pontefice si tratta di una «Chiesa in uscita», che si rivolge alle “periferie esistenziali”, cioè a chi non conosce il Signore.
Il punto vero è che questo atteggiamento stenta a entrare nella mentalità dei cattolici contemporanei. Infatti, c’è chi rifiuta la nuova evangelizzazione perché la ritiene contraria al pluralismo, sia religioso sia ideologico. Non lo dice apertamente, ma lo lascia intendere con il proprio silenzio. Chi pensa così si pone evidentemente fuori dalla comunione cattolica, perché nega che Cristo sia la Verità incarnata. I più invece semplicemente vivono la fede come una routine, come un ambiente in cui ci si trova a proprio agio per il bene che viene trasmesso alle persone. Raramente queste persone vengono sollecitate a riflettere sul tema della salvezza eterna come compito e dono primario della Chiesa e questo ovviamente fa perdere valore e significato alla loro testimonianza.
Ecco, il problema maggiore di oggi è questo. Naturalmente c’è stato, nella storia della Chiesa, soprattutto nell’epoca delle ideologie, il rischio di trasformare la fede in una ideologia ulteriore, cioè di rinunciare alla logica dell’amore, e c’è sempre chi rischia di trasformare la professione della fede in un tentativo d’imposizione ideologica.
Oggi però è l’altro il problema che s’impone. Ora, vi è una certezza, ed è che nessuno salva nessuno, laddove solo Dio è l’autore delle conversioni e solo il Suo sacrificio merita agli uomini l’eternità. Tuttavia la testimonianza, che deve cominciare dalla vita, non può non arrivare al punto della confessione che Cristo è l’unico Salvatore (Dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede Dominus Iesus, del 2000), altrimenti la storia della Salvezza non avrebbe senso. San Paolo VI diceva che gli uomini del tempo erano disposti ad ascoltare l’insegnamento dei maestri solo se questi erano anche dei testimoni. Da queste testimonianze missionarie sono nate le conversioni che hanno cambiato il mondo e che possono ancora oggi renderlo migliore. Sarebbe bene se questi grandi missionari, da san Francesco Saverio (1506-1552) a san Daniele Comboni (1831-1881), da san Paolo VI a san Giovanni Paolo II, che hanno sostenuto la necessità di rievangelizzare il mondo moderno, venissero presi sul serio e proposti come esempio ai cattolici della nostra epoca.
Venerdì, 25 ottobre 2019