Il Cristo Crocifisso di Salvador Dalì illumina l’oscurità e il dolore del cosmo con la luce della Resurrezione
di Francesca Morselli
Il 28 giugno 2005 Papa Benedetto XVI presentò il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica e in un passaggio significativo a proposito dell’idea di bellezza, scrisse: “… L’arte «parla» sempre, almeno implicitamente, del divino, della bellezza infinita di Dio, riflessa nell’Icona per eccellenza: Cristo Signore, Immagine del Dio invisibile. Le immagini sacre, con la loro bellezza, sono anch’esse annuncio evangelico ed esprimono lo splendore della verità cattolica, mostrando la suprema armonia tra il buono e il bello, tra la via veritatis e la via pulchritudinis” (Insegnamenti di Benedetto XVI I, 2005, 283-287). Partendo dalle suggestioni e dalle implicazioni di queste parole, si possono rileggere da una prospettiva più profonda, molte opere d’arte; e, se la “via pulchritudinis” risulta come finalità implicita, ma anche evidente nelle opere dell’arte antica, diventa più arduo rintracciarne i presupposti e i codici nelle opere del XX secolo.
Tra gli artisti delle cosiddette “avanguardie artistiche”, spicca un artista tecnicamente virtuoso che non è certo noto per la sua ortodossia religiosa, ma piuttosto per la sua stravaganza e la sua vita fuori dagli schemi: Salvador Dali. Eppure, dopo una vita frenetica e sregolata sempre portata verso gli eccessi, dopo la fine della II Guerra Mondiale e lo scoppio delle due bombe atomiche, Dalì si avvicina al misticismo religioso e principalmente alla religione cattolica, quella religione che aveva conosciuto nel suo paese natale, la Spagna. Impressionato da quanto successo ad Hiroshima e Nagasaki, il pittore, attraverso la lente del sentimento religioso, ha un risveglio e una presa di coscienza della fragilità umana e della sofferenza degli uomini, che collega esplicitamente alla sofferenza di Gesù sulla Croce. Per questo egli stesso definisce questo periodo come quello del Misticismo Nucleare, da cui ne scaturiranno diverse opere a tema religioso, incentrate sulla figura stessa di Cristo.
Per il dipinto “Cristo di San Giovanni della Croce” del 1951 (Kelvingrove Art Gallery and Museum di Glasgow) segue un’ispirazione avuta da un disegno di una Crocifissione eseguito da San Giovanni della Croce (1542 – 1591) mistico e poeta spagnolo, conservato nel convento dell’Incarnazione ad Avila che il pittore catalano aveva avuto modo di vedere e di conoscere. Partendo da questo disegno, compone un’opera con un taglio del tutto originale: si osserva Cristo in croce non da un punto di vista frontale né laterale o da sotto in su come l’iconografia tradizionale ci ha abituati, ma lo si osserva dall’alto in basso, come se l’osservatore fosse posto sopra alla Croce, nella stessa posizione di Dio Padre. La Croce risulta appesa e immobile, come se fosse una visione onirica, e occupa tutto lo spazio superiore del quadro. Il corpo di Gesù non presenta i segni della Passione, ma si staglia con un corpo da giovane uomo forte sullo sfondo nero di un cielo cupo, protendendosi in avanti, senza cadere, pur distaccandosi grevemente dalla croce. “Il capo e la schiena di Gesù sono illuminate dalla Vera Luce di Dio che , attraverso il Figlio, illumina anche la zona sottostante dell’opera dove viene ritratto uno specchio d’acqua con una barca e due pescatori; un possibile rimando a Pietro e dunque alla Chiesa che si nutre della Luce divina per essere guidata in acque sicure” (https://bibbiagiovane.it/il-cristo-in-croce-di-salvador-dali/). La baia sottostante è comunque un richiamo alla terra d’origine del pittore e della spiaggia di Port Ligat che Dalì rappresenta in molti suoi dipinti, come porto sicuro della sua vita, legato all’infanzia e agli affetti originari, mentre all’orizzonte il bagliore richiama quello dell’esplosione atomica che ha completamente sconvolto la vita del pittore.
Con questo capolavoro Dalí ha voluto illustrare la Risurrezione di Gesù e la sua vittoria sulla morte: il trionfo della Luce sulle tenebre. Infatti le differenti tonalità illustrano la componente terrestre accanto quella universale; le tinte scure e cupe della morte lasciano il posto a quelle chiare e luminose appartenenti alla risurrezione. Il Crocifisso , visto dall’alto verso il basso, crea un legame fra l’infinità di un cosmo vuoto e sconosciuto, dominato dalle tenebre, e la terra, illuminata da una luce soprannaturale che scaturisce dall’imponente figura di Cristo e dal suo sguardo.
Una composizione insolita ed innovativa che, attraverso un ricco e complesso – ma pur sempre accessibile e “tradizionale” – apparato figurativo e cromatico, crea un forte impatto emotivo capace di rendere possibile e fruibile all’osservatore quell’esperienza meditativa e contemplativa che la “via pulchritudinis” sa donare al cercatore della Bellezza e della Verità.
Sabato, 25 marzo 2023