
Μῆνιν ἄειδε θεὰ Πηληϊάδεω Ἀχιλῆος
Canta, o dea, l’ira d’Achille Pelide
Ἄνδρα μοι ἔννεπε, Μοῦσα, πολύτροπον, ὃς μάλα πολλὰ
L’uomo ricco d’astuzie raccontami, o Musa…
di Lucia Menichelli
Questi gli incipit dell’Iliade e l’Odissea, i poemi fondativi della letteratura occidentale, celeberrimi per i loro pregi letterari ma anche eccezionali documenti della civiltà greca ai suoi albori.
Ricorrono in entrambi i versi quei caratteri che saranno poi canonici di ogni proemio di un poema epico: l’anticipazione dell’argomento e l’invocazione alla divinità ispiratrice, in questi casi la Musa, figlia di Mnemosyne e di Zeus, cioè della Memoria che garantisce la capacità del ricordo e dell’apprendimento mnemonico e del dio ordinatore del cosmo e instauratore delle leggi divine e umane.
Il canto ispirato dalla Musa, dunque, è inseparabile dalla memoria (elemento essenziale in una società a tradizione orale): ma si tratta di una “memoria sacralizzata”, molto simile alla divinazione oracolare; e il poeta ispirato è colui che possiede la non comune facoltà di accedere a un mondo invisibile, ma non meno reale e, soprattutto, veritiero.
L’autore dell’Iliade e dell’Odissea, però, non è un poeta precisamente identificabile: come si sa bene, Omero è un nome fittizio che comprende, in realtà, un sistema di trasmissione orale perpetrato di generazione in generazione dall’attività degli aedi e dei rapsodi, che nel loro anonimato assolvevano il compito di farsi tramite presso il loro gruppo sociale delle verità divine loro ispirate.
αἵ νύ ποθ’ Ἡσίοδον καλὴν ἐδίδαξαν ἀοιδήν,
ἄρνας ποιµαίνονθ’ Ἑλικῶνος ὕπο ζαθέοιο.
Esse una volta a Esiodo insegnarono un canto bello,
mentre pasceva gli armenti sotto il divino Elicone
Nel prologo del poema epico Teogonia, l’autore Esiodo racconta l’incontro con il gruppo divino delle Muse sulle pendici del monte Elicona. Espressione di un sogno, visione autenticamente vissuta o finzione di una convenzione letteraria, come variamente interpretato dagli studiosi, l’episodio è comunque estremamente significativo della mutata concezione del ruolo del poeta tra la fine dell’VIII e l’inizio del VII secolo a.C.
La scena corrisponde infatti, a una vera e propria iniziazione che porta Esiodo a menzionare orgogliosamente il proprio nome: egli può rivendicare di aver stabilito un rapporto speciale con le divinità e di aver ottenuto specifiche prerogative, come lui stesso precisa, passando a parlare in prima persona nei versi successivi:
“e come scettro mi diedero un ramo d’alloro fiorito,
dopo averlo staccato, meraviglioso; e mi ispirarono il canto
divino, perché cantassi ciò che sarà e ciò che è,
e mi ordinarono di cantare la stirpe dei beati sempre viventi,
ma esse per prime e, alla fine, sempre.”
Da questa fondamentale circostanza consegue che mentre gli aedi potevano cantare versi solo occasionalmente, cioè se ispirati nel momento stesso in cui formulavano la richiesta alla divinità, in Esiodo questa facoltà diventa definitiva, al punto tale che sono le stesse Muse che lo spingono a poetare. In questo modo, Esiodo può anche agire significativamente sulla materia del canto: egli è chiamato a celebrare addirittura la stirpe degli dei (che in effetti è l’argomento stesso della Teogonia) o a fornire importarti insegnamenti sulla giustizia e sulla morale (argomento del suo secondo poema Le opere e i giorni).
Sabato, 26 aprile 2025