Il più grande ringraziamento al Signore è l’Eucaristia, il cui nome deriva proprio dal verbo greco che significa “ringraziare”
di Michele Brambilla
Sembra strano in questo anno pandemico, ma tra poche ore nelle chiese risuonerà, come ogni 31 dicembre, il Te Deum, che è un inno di ringraziamento al Signore per i doni ricevuti. Papa Francesco desidera allora soffermarsi, nel corso dell’udienza generale del 30 dicembre, proprio sulla preghiera di ringraziamento. «E prendo lo spunto», spiega il Pontefice, «da un episodio riportato dall’evangelista Luca. Mentre Gesù è in cammino, gli vengono incontro dieci lebbrosi, che implorano: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!” (Lc 17,13)».
La lebbra a quei tempi era una malattia che comportava un radicale distanziamento sociale, ma «Gesù non si sottrae all’incontro con loro». Sebbene «a distanza, Gesù li invita a presentarsi ai sacerdoti (Lc 17,14), i quali erano incaricati, secondo la legge, di certificare l’avvenuta guarigione. Gesù non dice altro. Ha ascoltato la loro preghiera, ha ascoltato il loro grido di pietà, e li manda subito dai sacerdoti. Quei dieci si fidano, non rimangono lì fino al momento di essere guariti, no: si fidano e vanno subito, e mentre stanno andando guariscono tutti e dieci» miracolosamente.
«Ma qui», sottolinea il Papa, «viene il punto più importante: di quel gruppo, solo uno, prima di andare dai sacerdoti, torna indietro a ringraziare Gesù e a lodare Dio per la grazia ricevuta», ed è un samaritano. Le tensioni tra i samaritani e le autorità religiose di Gerusalemme sono note fin dall’Antico Testamento, ma il particolare davvero importante è che solo il lebbroso in questione compie un passo in più nella fede, perché intuisce che ringraziare Cristo in quel luogo e ringraziare il Padre nel Tempio è esattamente la stessa cosa, ovvero la Trinità di Dio. Secondo Francesco «questo racconto, per così dire, divide il mondo in due: chi non ringrazia e chi ringrazia; chi prende tutto come gli fosse dovuto, e chi accoglie tutto come dono, come grazia». Il Santo Padre ribadisce il concetto citando il Catechismo della Chiesa cattolica: «il Catechismo scrive: “Ogni avvenimento e ogni necessità può diventare motivo di ringraziamento” (n. 2638)». Si può quindi cantare il Te Deum anche nell’anno 2020, perché il Signore ci è sempre rimasto accanto.
Il luogo in cui Gesù è eminentemente presente è il tabernacolo eucaristico. Come ricorda il Pontefice, «per noi cristiani il rendimento di grazie ha dato il nome al Sacramento più essenziale che ci sia: l’Eucaristia. La parola greca, infatti», deriva dal verbo eucharisteuo e «significa proprio questo: ringraziamento. I cristiani, come tutti i credenti, benedicono Dio per il dono della vita», e non c’è migliore ringraziamento a Dio Padre dell’offrigli il Sacrificio perfetto del Figlio. Nell’Eucaristia troviamo, afferma il Papa citando Dante Alighieri (1265-1321), «“l’Amore che move il sole e l’altre stelle” (Paradiso, XXXIII, 145). Non siamo più viandanti errabondi che vagano qua e là, no: abbiamo una casa, dimoriamo in Cristo, e da questa “dimora” contempliamo tutto il resto del mondo, ed esso ci appare infinitamente più bello». «Coltiviamo», quindi, «l’allegrezza», che viene da Dio. «Soprattutto, non tralasciamo di ringraziare: se siamo portatori di gratitudine, anche il mondo diventa migliore, magari anche solo di poco, ma è ciò che basta per trasmettergli un po’ di speranza».
Giovedì, 31 dicembre 2020