Mons. Antonio de Castro Mayer, Cristianità, 2 (1973)
Traduzione della seconda e ultima parte dello studio Como se prepara uma revolução – O jansenismo e a terceira força. comparso su Catolicismo, Campos, settembre 1952, n. 21.
Coperto dalla inerzia dei vescovi della terza forza, non meraviglia che l’incremento del giansenismo sia stato enorme. A metà del secolo XVIII le condizioni erano ormai tali che Luigi XV concordò con Benedetto XIV non la revoca della bolla Unigenitus, come vogliono alcuni, ma una mitigazione del rigore nell’applicare le pene da essa stabilite.
LA TATTICA DELLA TERZA FORZA PER FAVORIRE L’ERESIA
È necessario sottolineare che i prelati del terzo partito non favorivano il giansenismo soltanto con il loro atteggiamento pacifista, non facendo nulla nel senso di reprimere la setta o di eseguire le misure imposte dalla Santa Sede e dagli ordini del re; essi erano preziosi soldati dell’eresia per tutto il loro modo di agire.
Non accettavano gli errori di Giansenio, condannavano le cinque proposizioni, accettavano la bolla Unigenitus, ma favorivano tutte quelle cose che denunciavano simpatia per la setta e ne diffondevano lo spirito.
Uno dei principi tattici del giansenismo consisteva nella esagerazione dello spirito parrocchiale: Messa e sacramenti soltanto nella chiesa madre. Il conciliabolo di Pistoia accentuò molto questa tendenza giansenista, che in futuro si sarebbe concretizzata in una autentica campagna contro le chiese degli Ordini e delle Congregazioni. Quindi tutti questi vescovi sono parrocchialisti a oltranza. Mons. Bazin de Bezons e mons. Tourouvre perseguitano i fedeli che alla domenica non sentono la Messa nella chiesa parrocchiale. Tourouvre, già nel corso della sua prima visita pastorale, chiude una cappella e proibisce la celebrazione del Santo Sacrificio in diverse altre. Souillac scomunica i fedeli che per tre domeniche consecutive non sono presenti alla Messa nella chiesa parrocchiale. Bazin de Bezons con un atto del 3 dicembre 1751 condanna un professore di teologia – un gesuita – perché insegnava che la Messa in parrocchia non è di precetto né di obbligo. Mons. Tourouvre ammette alle nozze i neoconvertiti soltanto quando hanno dato prova di cattolicità assistendo assiduamente per sei mesi alla Messa, alle istruzioni e alle altre funzioni parrocchiali.
Altra caratteristica del giansenismo era la lotta feroce contro i gesuiti. In questa offensiva gli uomini della terza forza sono suoi alleati. Abbiamo visto come si è comportato mons. Bazin de Bezons con il gesuita professore del suo seminario. Insieme a lui, i vescovi Fitz-James, Rastignac e Souillac scendono in campo contro il libro del gesuita Pichon che sostiene la comunione frequente. Fitz-James e Montazet scrivono contro L’Histoire du peuple de Dieu del gesuita Berruyer. Tale fobia nei confronti dei padri della Compagnia di Gesù meritò da parte della Corte condanne simili a quelle dirette contro gli “appellanti”. Nella parte sullo spirito giansenista Appolis osserva che i prelati della terza forza adottano platealmente nelle liturgie diocesane principi caratteristici della setta.
Ma soprattutto nell’insegnamento catechistico si mostra chiaramente che questi vescovi erano favorevoli all’eresia. Non vi è nessuna arma tanto efficace per la diffusione dell’errore quanto questi piccoli libri che si mettono nelle mani ingenue dei bambini. E nei catechismi delle diocesi dirette da adepti della terza forza troviamo, più diluito, e quindi più pericoloso, il virus giansenista. Souillac adotta nella sua diocesi il catechismo del giansenista Colbert. Ma, mentre questi mette in risalto il mistero della doppia predestinazione sostenuto dagli eretici, Souillac lo insinua nel finale di una frase. Colbert dice:
” – D. Dio dà le stesse grazie a tutti gli uomini?
” – R. No. Dio dà più grazie ai cristiani che agli altri uomini; e, tra i cristiani, alcuni ricevono più grazie degli altri.
” – D. Perché Dio agisce così?
” – R. È per noi un mistero impenetrabile. Sappiamo soltanto che Egli ha misericordia di alcuni, e giustizia per altri“.
Souillac sopprime la seconda risposta, nella quale appare chiaro il pensiero giansenista. Però gli cambia soltanto posto, insinuandolo alla fine della risposta alla domanda precedente, che è così redatta:
” R. No. Dio dà più grazie ai cristiani che agli altri uomini; e, tra i cristiani, alcuni ricevono più grazie di altri, per effetto della Sua misericordia e della Sua giustizia“.
Non meraviglia che gli “appellanti” abbiano espresso i più vivi elogi per gli studi compiuti nello stesso senso da Souillac e Rastignac: Conférences de Lodève e Instruction pastorale sur la justice chrétienne. “Non vi è nessun appellante, dice il giansenista Fourquevaux, che non riconosca in questi scritti il suo modo di pensare“.
I CRIPTO-GIANSENISTI MANIFESTANO IL LORO AUTENTICO PENSIERO
Anche la sincerità nell’accettazione della bolla Unigenitus da parte di questi prelati della terza forza può essere messa in dubbio.
È certo che l’accolsero tutti e che la fecero accettare al loro clero e al popolo. Ve ne furono perfino, tra loro, che a questo scopo si servirono di mezzi violenti. Tuttavia si accontentavano della sottoscrizione del documento. Non andavano oltre. Si trattava di una obbedienza pro forma.
Lo spirito e la sincerità di questa obbedienza traspare in più di uno scritto. Mons. Souillac, nel suo testamento, spiega la ragione per la quale ha accettato la bolla Unigenitus: “Io ho accettato sinceramente la bolla, dal momento che mi parve che fosse generalmente promulgata e accolta dal corpo dei Pastori uniti al Papa, capo visibile della Chiesa e primo vicario di Gesù Cristo“. In queste parole si insinua che l’esercizio del sommo pontificato è soggetto alla accettazione dei vescovi, proprio come pensavano gli “appellanti”.
Più esplicito, mons. Beauteville – che in tutta la sua vita non era mai insorto contro la bolla – si toglie la maschera e consegna al suo testamento questa affermazione testuale: “Sono ben lungi dal considerare la costituzione Unigenitus, pubblicata sotto il nome di Papa Clemente XI, come una decisione della Chiesa. Dichiaro, al contrario, di aderire con tutto il cuore all’appello interposto al futuro concilio dai Signori vescovi di Mirepoix, di Senez, di Montpellier e di Boulogne … “.
Spiegando perché personalmente e formalmente non aveva fatto appello anche pubblico al concilio, dice che “aveva considerato la legge del silenzio come una riprovazione autentica e legale della costituzione Unigenitus, che toglie a essa il carattere di giudizio della Chiesa, sospende gli effetti che invano si è tentato di farle avere, e rende, di conseguenza, inutile o almeno non necessario e dispensabile un appello che, in altro modo, avrebbe dovuto essere di rigore e dovere assoluto, come quando fu sollevato, nel momento in cui si imponeva l’esecuzione della bolla“. Termina chiarendo che, per tutto il tempo in cui rimase in carica, fece osservare religiosamente la legge del silenzio sulla Unigenitus.
Questo può essere considerato come un caso limite. In generale i partigiani della posizione intermedia lasciavano intendere il loro modo di considerare l’obbedienza dovuta al Papa attraverso la negligenza nella applicazione degli ordini, sia regali che pontifici.
Mons. Montazet non cura di esigere dai candidati agli ordini sacri la sottoscrizione del formulario antigiansenista di Alessandro VII, e ordina sacerdote François Jacquemont, che più tardi sarebbe stato il famoso parroco giansenista di Saint-Médard en Forez. Altri si comportano come lui. Mons. Souillac, per esempio, usa diversi artifici: ora tace a proposito del formulario; ora protesta che il candidato lo ha già sottoscritto; ora dichiara che lo farà più tardi. E così consegna a giansenisti benefici vacanti. Insomma, questi vescovi praticano a fin di male quelle sottigliezze che la setta imputava ai gesuiti a fin di bene.
Il sospetto sulla lealtà di questi prelati nei confronti di Roma nasce, inoltre, dalle reiterate spiegazioni che si sentono obbligati a fornire. Mons. Souillac dichiara al cardinal Fleury: “Non ho ricevuto […] un’anima tanto vile da fare la parte di cui mi si vuole fare sospettare“. Fitz-James scrive a Benedetto XIV: “Mai, grazie a Dio, ho dissimulato il mio modo di pensare, e oso dire che mai ho avuto in società la fama di uomo falso“. In una lettera allo stesso pontefice ripete la vecchia lamentela dei giansenisti, cioè che la Santa Sede è male informata: “Tutti quelli che conoscono questo paese e giudicano le cose spassionatamente, sono assolutamente persuasi che qui non vi sono né eresie né eretici“. E dà quindi una interpretazione tendenziosa alla bolla Unigenitus: con il pretesto che questa non commina pene, con la massima superficialità ammette i giansenisti a ricevere i sacramenti. Come se il documento pontificio condannasse sì qualcuno, ma di altri popoli e di altre terre.
Nel 1755, nell’assemblea del clero, la terza forza compare accanto a quelli che reputavano lieve la disobbedienza dei giansenisti, e, nel 1765, quattro vescovi di tale partito, Montazet, Bazin de Bezons, Beauteville e Noé rifiutano la loro adesione agli atti dell’assemblea del clero che dichiarano i giansenisti indegni di ricevere i sacramenti.
I MAGGIORI RESPONSABILI DELLA DIFFUSIONE DEL GIANSENISMO
Tutti questi fatti giustificano la conclusione di Appolis: “[…] a causa della loro [dei vescovi del terzo partito] tollerante simpatia verso gli avversari della bolla, un non piccolo numero di questi prelati ha una considerevole parte di responsabilità nello sviluppo del giansenismo all’interno delle loro diocesi. Per limitarci ad alcuni esempi, la diocesi di Lione avrebbe contato, alla morte di mons. Montazet, sessanta sacerdoti “appellanti“. E lo stesso vicario generale di mons. Bazin de Bezons, il giansenista Guillaume Besaucèle, sarà così popolare tra i nemici della Chiesa da essere eletto, al tempo della Rivoluzione, vescovo costituzionale di Aude.
“Con questo terzo partito, molto più che con i giansenisti propriamente detti, bisogna mettere in rapporto, alla fine dell’Antico Regime, i riformatori del concilio di Pistoia – almeno nella loro grande maggioranza. Allo stesso partito apparterrà anche l’abbé Grégoire, il famoso vescovo rivoluzionario, che mai si solleverà contro la bolla e il formulario, nonostante la sua reputazione di port-royaliste. Come ha bene osservato l’autore giansenista Grazier, egli sarà giansenista soltanto alla maniera dì Rastignac, di Fitz-James, di Montazet“.
UNA NECESSARIA RETTIFICA
Appolis, con il suo studio, ha contribuito molto a illuminare la situazione religiosa della Francia nel secolo XVIII.
Nel suo studio vi è però un passaggio che ci sembra da parte nostra esigere una spiegazione. Appolis, intendendo mostrare, alla luce dei documenti, l’evoluzione avuta dalla questione giansenista dopo la bolla Unigenitus, evoluzione in senso liberale verso una tolleranza sempre maggiore nei confronti dell’errore, sostiene che gli stessi Papi Benedetto XIII e Benedetto XIV si siano lasciati trascinare dalla corrente intermedia. Essi stessi sarebbero stati illustri rappresentanti della terza forza.
Ora, benché entrambi questi pontefici siano stati uomini inclini alle concessioni, anche se in grado diverso, né l’uno né l’altro giunse al punto di venire a patti con l’eresia, come lascia intendere, pur senza affermarlo, Appolis nel suo studio (1).
Benedetto XIII, ardente domenicano (anche da Papa baciava la mano al generale del suo Ordine), favorì, senza dubbio, la posizione teologica dei domenicani. Non, però, a scapito delle altre dottrine con uguali diritti di cittadinanza nella santa Chiesa. Il breve Demissas preces del 6 novembre 1724, richiesto dal generale dei domenicani, ai quali è diretto, contiene una esortazione a non dare importanza, con magnanimità, alle calunnie sollevate contro le loro opinioni dottrinali, specialmente quanto alla grazia di per sé efficace, e alla predestinazione anteriore alla previsione dei meriti. Tuttavia non dichiara né che deve essere condannata la posizione di Molina, né che gli autori delle calunnie contro i domenicani sono i molinisti. Il breve lascia sufficientemente intravvedere che i calunniatori dell’ordine a cui si fa riferimento sono i giansenisti. Non ci si può dunque richiamare a questo breve come se in esso vi fosse una condanna della dottrina molinista.
Quanto all’elogio della dottrina di sant’Agostino e di san Tommaso sulla grazia, è opportuno notare che il Papa distingueva bene la dottrina tradizionale della Chiesa che, da Bonifacio II, vede in Sant’Agostino il Dottore della Grazia, e le deturpazioni dell’Augustinus di Giansenio che i port-royalistes facevano passare come la dottrina del santo vescovo di Ippona. Forse anche per questo il breve di Benedetto XIII contiene un elogio della bolla Unigenitus, che qualifica come sentenza estremamente salutare e saggia di Clemente XI.
Anche Benedetto XIV, come misura disciplinare, accolse le esigenze della Corte di Francia nel senso di mitigare l’applicazione delle pene comminate contro coloro che disobbedivano alla bolla Unigenitus. Per grandi che siano state, tuttavia, le concessioni del Papa, questi non cedette alle istanze del re al punto da dichiarare che la bolla Unigenitus non doveva essere considerata come “regola di fede”. E, di fatto, nella circolare indirizzata dal Papa all’assemblea del clero, anche se non si trova l’espressione “regola di fede”, lo stesso pensiero è presentato in altri termini. Vi si dice che l’autorità di tale bolla è tanto grande e che esige un rispetto, una accettazione e una obbedienza così sinceri, che nessun fedele può negare a essa l’obbligatoria sottomissione e opporsi a essa in qualsiasi modo, senza pericolo per la sua salvezza eterna. Segue la pena contro le persone notoriamente disobbedienti alla bolla Unigenitus.
Luigi XV concordò con Benedetto XIV soltanto questo. È vero che nello stesso decreto reale sulla circolare di Benedetto XIV, il re, motu proprio, dichiarava che la bolla Unigenitus non era regola di fede. Questo però fu fatto senza il consenso del Papa, e contro la sua intenzione, come si deduce dalle trattative tra la Corte francese e quella pontificia.
Non si può quindi dedurne che il Papa intese favorire la terza forza, ossia l’eresia, dal momento che Appolis dimostra molto bene che la terza forza era cripto-giansenista.
E se qualcuno osservasse che il pontefice non disse nulla dopo un così sleale comportamento del monarca, è necessario ricordare che Benedetto XIV era infermo, e probabilmente non fu informato del modo poco regale con cui agì Luigi XV. È anche possibile che abbia pensato meglio non ravvivare nuovamente tutta una questione che soltanto molto difficilmente avrebbe potuto condurre a termine allo stremo delle forze in cui si trovava.
FALLIMENTO DELLA CONCILIAZIONE A OGNI COSTO
Queste osservazioni dimostrano quanto sono nefaste le conseguenze di una politica di pace da palude. La pace è reale soltanto quando è alimentata dalla linfa della verità. In caso contrario, è una superficie di tenue vernice sotto la quale la divisione delle intelligenze alimenta e ravviva convulsioni talora vulcaniche. Per mantenere la pace in Francia, Fleury evitò il più possibile il trionfo della verità sull’errore, con una politica di pseudoequilibrio tra l’una e l’altro. Poco più di venti anni dopo, la situazione era tale che al re e al Papa non parve più possibile l’applicazione pura e semplice degli insegnamenti pontifici. Infatti era nato il liberalismo in materia religiosa. Fleury aveva alimentato nel seno della Francia la vipera che l’avrebbe avvelenata nel 1789.
+ ANTONIO DE CASTRO MAYER
Vescovo di Campos
Nota:
(1) “Egli sembra proseguire volentieri la politica di concessioni che Benedetto, XIII era parso piuttosto subire” (Histoire generale de l’Eglise, L’Ancien Régime, Parigi 1920, pp. 127-8).