Contro sedici eccezioni di incostituzionalità
Il governo democristiano difende la «legge» abortista!
Dopo il tradimento democristiano in parlamento, l’infame «legge» abortista beneficiò del tradimento del governo democristiano di Andreotti, che – firmandola – ne assunse la definitiva responsabilità morale e politica. I politici democristiani si dissero «costretti». Ma poi, senza che vi fosse neppure il più lieve pretesto di «costrizione» il governo di Andreotti si impegnò a difendere la «legge» davanti alla Corte Costituzionale e, oggi, il governo democristiano di Cossiga è impegnato nella medesima difesa della costituzionalità della «legge».
Il 5 maggio 1978 don Francesco Putti, il valoroso direttore del mensile cattolico antimodernista sì sì no no, scriveva al capo dello Stato, sen. Giovanni Leone, e al capo del governo, on. Giulio Andreotti, invitandoli a fare tutto il possibile per impedire l’attuazione della «legge» abortista allora di imminente approvazione (1).
Mentre il presidente Leone non degnava l’appello neppure di una risposta, l’on. Andreotti dava riscontro al fermo richiamo per dire, tra l’altro, che «quando una legge viene approvata dal Parlamento, la firma di essa è un “atto dovuto” da parte di chi rappresenta l’Esecutivo».
In conformità con tale pretesa disposizione del diritto positivo (2), la «legge» veniva approvata ed entrava in vigore, tra l’altro con la firma dell’on. Andreotti.
Nel corso di poco più di un anno da quel periodo infausto, alla Corte Costituzionale sono giunte sedici ordinanze di rinvio da parte di tribunali, di sezioni istruttorie di corti d’appello, di giudici istruttori, di pretori, che hanno avanzato fondati sospetti di incostituzionalità relativamente a tale «legge».
Con la udienza del 5 dicembre 1979, la Corte Costituzionale ha aperto l’esame delle sedici eccezioni di incostituzionalità. Si attende ora la sua sentenza.
Ma se tale sentenza è tecnicamente sub iudice, un’altra è certamente già stata pronunciata. Infatti, la «legge» è stata difesa dalla Avvocatura Generale dello Stato, per conto del governo democristiano presieduto dall’on. Andreotti.
Orbene, neppure la difesa di una legge davanti alla Corte Costituzionale è un «atto dovuto», e di questo è prova inequivocabile il mancato intervento governativo in diversi casi acquisiti alla giurisprudenza (3).
Da quanto detto si ricava che la «legalizzazione» dell’aborto non è, per il governo democristiano, una sciagura alla quale si pretende di dover fare fronte «per il sofferto dovere di servire il Paese», compiendo cioè un «atto dovuto» per «non rinunciare […] a reggere le sorti del Paese» stesso, ma è chiaramente e senza ombra di dubbio un «atto voluto», compiuto con piena avvertenza e con deliberato consenso, con tutto ciò che ne segue.
La cronaca politica – in vista del congresso democristiano prossimo – è piena di propositi di rinnovamento: è tacendo sul gravissimo e inqualificabile comportamento del governo democristiano Andreotti che il governo democristiano Cossiga e tutti gli altri politici democristiani si preparano a porre la loro candidatura alla rappresentanza politica del mondo cattolico?
Note:
(1) Cfr. si sì no no, anno IV, n. 6, giugno 1978, da cui sono tratte tutte le citazioni.
(2) Per la prova del contrario, cfr. ANTONIO ACHILLE, I ministri e l’aborto, lettera ad Avvenire, 21-7-1979.
(3) Cfr. SILVANO TOSI, Il governo davanti alla Corte nei giudizi incidentali di legittimità costituzionale, A. Giuffré Ed., Milano 1963, pp. 95-98.