Di Daniele Ranieri da Il Foglio del 06/09/2021
Istanbul, dal nostro inviato. Non si sa che razza di calcolo abbia fatto Ahmad Massoud, capo delle milizie della vallata del Panshir, quando ha deciso di resistere all’offensiva talebana invece di cercare un accordo di sopravvivenza – se non proprio di convivenza con i nuovi padroni del paese. E con lui non si sa che calcolo abbia fatto Amrullah Saleh, ex vicepresidente e soprattutto ex capo dell’intelligence afghana per dieci anni – l’uomo che un tempo è stato più vicino agli americani in Afghanistan e adesso li accusa di essere una “minipotenza invece che una superpotenza”. Forse entrambi si erano illusi, fuori tempo massimo, che l’Amministrazione Biden avrebbe offerto un minimo di appoggio e di protezione. Non è successo. L’unico a spendersi e a scommettere in pubblico su Massoud e le sue milizie è stato il filosofo francese Bernard-Henri Lévy. E però di quante divisioni dispone?
La piccola regione del Panshir ha una tradizione di resistenza militare, che divenne famosa nel mondo durante la lotta antisovietica negli anni Ottanta e poi è rimasta intatta durante il periodo della guerra civile contro i talebani negli anni Novanta, grazie al carisma del padre di Massoud – il Leone del Panshir – e soprattutto grazie alla conformazione del terreno. Il Panshir è una vallata con imboccature strette che sono il luogo ideale per bloccare le invasioni e fianchi alti che facilitano le imboscate. Il problema è che la valle durante la prima guerra contro l’Emirato islamista venticinque anni fa non era isolata, alle spalle aveva il nord che permetteva il passaggio di uomini e rifornimenti. Questa volta gli islamisti per prima cosa hanno conquistato il nord e i territori contigui al Panshir. La vallata è diventata un’isola in un mare di talebani equipaggiati con armi e blindati americani. Una faccenda difficile da risolvere, che i talebani hanno messo in fondo alla lista delle cose da fare per dirigersi veloci verso i bersagli principali come Kabul.
La battaglia del Panshir non è stata persa ieri, quando i talebani hanno annunciato di avere il controllo totale della piccola enclave, è stata persa a luglio – sembra un secolo fa – quando uno dopo l’altro i bastioni afghani hanno ceduto davanti all’avanzata dei guerriglieri, che era appena ritardata da bombardamenti sporadici degli aerei americani. A questo punto la difesa era una manovra politica più che militare: Massoud e Saleh hanno scommesso che all’esterno qualche governo amico avrebbe chiesto ai talebani di congelare le operazioni di assalto per prendere la vallata e che a questo scopo avrebbe fatto pressioni negoziali se non proprio minacce militari. Ma l’Amministrazione Biden da questo punto di vista non vuole fare nulla.
Il presidente ha ordinato questo ritiro da incubo proprio per disimpegnarsi dall’Afghanistan, se cominciasse a sostenere Massoud si ritroverebbe di nuovo impantanato nelle questioni afghane. Vedetevela fra voi, è il messaggio che arriva da Washington. Inoltre gli americani sono ancora costretti a negoziare con i talebani, ci sono questioni aperte, ci sono cittadini americani ancora bloccati, l’evacuazione non è finita. Non è il momento per appoggiare la resistenza antitalebana. Se questa è la posizione di Washington, tutti gli altri, a cominciare dalla Francia che con Massoud intratteneva una relazione, si adeguano.
Il Panshir che resisteva all’Emirato è finito. Essendo l’Afghanistan un paese recalcitrante che si ribella volentieri ai dominatori, possiamo immaginare la vallata nel futuro come una delle aree che daranno più problemi ai talebani – come certe banlieue parigine dove le auto della polizia sono prese a sassate. Dalla fine che faranno Massoud e Amrullah Saleh, se combatteranno o negozieranno, se saranno uccisi o imprigionati o esiliati o graziati – al momento nel quale va in stampa questo articolo non è ancora conosciuta – si misurerà la sventura di essere stati alleati degli Stati Uniti contro nemici fanatici.
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