Da IL FOGLIO del 30/11/2019
Il Papa se la prende, e in modo diretto, contro le “sentenze che in tema di diritto alla vita vengono talora pronunciate nelle aule di giustizia, in Italia e in tanti ordinamenti democratici”. Pronunce per le quali, ha aggiunto Francesco ricevendo in udienza i membri del Centro studi “Rosario Livatino”, “l’interesse principale di una persona disabile o anziana sarebbe quello di morire e non di essere curato; o che – secondo una giurisprudenza che si autodefinisce ‘creativa’ – inventano un ‘diritto di morire’ privo di qualsiasi fondamento giuridico, e in questo modo affievoliscono gli sforzi per lenire il dolore e non abbandonare a se stessa la persona che si avvia a concludere la propria esistenza”. Parole chiare, che non corrono il rischio di essere decontestualizzate, come sovente accade. Bergoglio le ha pronunciate premettendo che si riferiva “alla questione dell’eutanasia”. Il problema, ha aggiunto, è “la giustificazione dello sconfinamento del giudice in ambiti non propri, soprattutto nelle materie dei cosiddetti ‘nuovi diritti’, con sentenze che sembrano preoccupate di esaudire desideri sempre nuovi, disancorati da ogni limite oggettivo”.
Non sono frasi sorprendenti, Francesco tante volte in questi sei anni e mezzo di pontificato ha scagliato anatemi contro la cultura della morte imperante e, appunto, i cosiddetti nuovi diritti. Di solito senza godere sui media della medesima attenzione a lui riservata per frasi a effetto che emozionano i devoti dello Zeitgeist. Qualcuno ha però capito subito la portata dell’intervento del vescovo di Roma: “E’ un vero peccato che il Papa sull’eutanasia abbia deciso di aggredire le istituzioni italiane”, ha detto Marco Cappato. “In questo modo – continua l’esponente Radicale –, il Papa sferra un attacco alla Corte costituzionale italiana, pur senza nominarla, e prova a fomentare una insistente contrapposizione tra rispetto della libertà di scelta del malato e rispetto del diritto alle cure palliative. Non è un caso se sono innanzitutto i cattolici a non seguirlo su questa strada, così lontana dal sentire comune”. Ne è passato, di tempo, da quel “chi sono io per giudicare?”.
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