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Il “Paradiso” di Tintoretto

9 Novembre 2019 - Autore: Michele Brambilla

di Michele Brambilla

Il mese di novembre è aperto dalla solennità di Tutti i Santi e dalla Commemorazione dei defunti, e rimane un periodo nel quale anche la natura, che trascolora dall’autunno maturo all’inverno, spinge a considerare le “cose ultime”. I Novissimi sono stati spesso trattati nell’arte cristiana antecedente il secolo XIX, dopo il quale si è cominciato a virare sul “simbolico”. Non di rado la controfacciata delle chiese medievali e rinascimentali era contrassegnata da una raffigurazione del Giudizio universale, con la distinzione netta tra beati e dannati, ma i Novissimi erano punti di riferimento che ispirava anche l’azione delle autorità civili.

Non stupisca pertanto la commissione, da parte della Repubblica di Venezia, al pittore Jacopo Robusti (1519-94), detto il “Tintoretto”, di un’immagine del Paradiso da collocare sulla parete di fondo della Sala del Maggior Consiglio nel Palazzo ducale.

Tintoretto avviò il cantiere dell’opera nel 1586, all’apice della carriera, e lo terminò alle soglie della dipartita da questo mondo (1594). È quindi un’opera-testamento. In più l’artista dovette misurarsi con quello che oramai era diventato il modello assoluto dell’iconografia dei Novissimi, il Giudizio universale di Michelangelo Buonarroti (1476-1564) nella Cappella Sistina. Un rimando non casuale, dacché nella Sala del Maggior Consiglio venivano eletti i dogi così come nella Sistina si è sempre svolto il conclave per eleggere i Papi.

L’interpretazione che Robusti dà dell’argomento è però più serena della tormentata mistica michelangiolesca. Tintoretto si concentra sul registro dei beati e lo pone a raggiera attorno a Gesù e a Maria, intronizzati al centro della composizione con in mezzo la colomba dello Spirito Santo (al Padre si allude con una cascata di luce), proprio sopra i seggi della presidenza dell’assemblea veneziana. La Madonna è inginocchiata davanti al Redentore del genere umano, ma non si rannicchia impotente sotto le braccia del Figlio come nella Sistina. Anche il ritratto di Gesù è più conforme alla tradizione: ha la barba, è vestito di blu e di rosso (divinità e umanità di Cristo) e non compie gesti plateali.

Nuvole di angeli sostengono e accompagnano i beati, in mezzo ai quali si scorge l’evangelista san Giovanni nell’atto di scrivere l’Apocalisse. La loro gioia è palpabile, accorrono tutti attorno al Re e alla Regina. Nell’ottica del pittore è preferibile puntare lo sguardo sulla consolazione dei buoni, il premio, anziché descrivere in maniera raccapricciante la desolazione dei malvagi. L’idea politica è rendere manifesto che è la Provvidenza divina a guidare una delle potenze vincitrici di Lepanto (7 ottobre 1571), ma un Dio provvidente e misericordioso era anche il messaggio che lo stesso Tintoretto desiderava per se stesso in quel momento particolare della propria vita.


Sabato, 09 novembre 2019

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