Di Michele Brambilla
A mezzogiorno del 25 agosto Papa Francesco si affaccia, come di consueto, alla balconata di San pietro per la recita dell’Angelus. «Il Vangelo di oggi (cfr Lc 13,22-30)», premette il Pontefice, «ci presenta Gesù che passa insegnando per città e villaggi, diretto a Gerusalemme, dove sa che deve morire in croce per la salvezza di tutti noi. In questo quadro, si inserisce la domanda di un tale, che si rivolge a Lui dicendo: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” (Lc 13,23). La questione», spiega il Papa, «era dibattuta a quel tempo – quanti si salvano, quanti no… – e c’erano diversi modi di interpretare le Scritture al riguardo, a seconda dei testi che prendevano. Gesù però capovolge la domanda», trasformandola da quantitativa a qualitativa: «dice infatti: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno” (Lc 13,24)».
L’esortazione di Gesù inaugura un vero e proprio cambio di prospettiva. «Con queste parole», infatti, «Gesù fa capire che non è questione di numero, non c’è il “numero chiuso” in Paradiso», «ma si tratta di attraversare fin da ora il passaggio giusto, e questo passaggio giusto è per tutti, ma è stretto. Questo è il problema».
Bisogna trovare un equilibrio, la strada giusta: «Gesù non vuole illuderci, dicendo: “Sì, state tranquilli, la cosa è facile, c’è una bella autostrada e in fondo un grande portone…”. Non ci dice questo: ci parla della porta stretta. Ci dice le cose come stanno: il passaggio è stretto. In che senso? Nel senso che per salvarsi bisogna amare Dio e il prossimo, e questo non è comodo! È una “porta stretta” perché è esigente, l’amore è esigente sempre, richiede impegno, anzi, “sforzo”, cioè una volontà decisa e perseverante di vivere secondo il Vangelo». Questo sforzo «san Paolo lo chiama “il buon combattimento della fede” (1Tm 6,12). Ci vuole lo sforzo di tutti i giorni, di tutto il giorno per amare Dio e il prossimo». È davvero un bonum certamen, «e, per spiegarsi meglio, Gesù racconta una parabola. C’è un padrone di casa, che rappresenta il Signore. La sua casa simboleggia la vita eterna, cioè la salvezza».
Il padrone di casa all’improvviso chiude la porta e, subito, si precipitano sull’uscio, dall’esterno, quanti sono rimasti fuori. Gli eletti non possono accampare alcun merito particolare. Commenta allora il Papa: «ecco il problema! Il Signore ci riconoscerà non per i nostri titoli – “Ma guarda, Signore, che io appartenevo a quell’associazione, che io ero amico del tal monsignore, del tal cardinale, del tal prete…”. No, i titoli non contano, non contano. Il Signore ci riconoscerà soltanto per una vita umile, una vita buona, una vita di fede che si traduce nelle opere», tra le quali occupano uno spazio eminente la frequenza ai Sacramenti e il confronto costante con la parola di Dio. «Questo», assicura Francesco, «ci mantiene nella fede, nutre la nostra speranza, ravviva la carità». Maria è la prima ad essere passata per la porta stretta di Gesù: «Lo ha accolto con tutto il cuore e lo ha seguito ogni giorno della sua vita, anche quando non capiva, anche quando una spada trafiggeva la sua anima. Per questo la invochiamo come “Porta del cielo”».
Lunedì, 26 agosto 2019