Agosto è il mese del traffico verso la villeggiatura, per poi continuare a correre diretti al lavoro, in curioso contrasto con la “sepoltura” dei certosini. I quali però costituiscono un monito a riscoprire l’”essenza festiva” delle cose, cioè la contemplazione, restituendo senso al lavoro e alla festa.
di Stefano Chiappalone
«Habitantibus hic oppidum carcer est et solitudo paradisus», si legge sul vestibolo della certosa di Calci, la “tebaide” pisana purtroppo disabitata da decenni: «Per coloro che abitano qui, la città è un carcere e la solitudine è un paradiso». È il paradosso degli asceti di ogni tempo: sepolti vivi come se fossero morti, eppure la loro stirpe attraversa i secoli. Qui hanno vissuto dal 1366 al 1970. Ben sette secoli (al netto, beninteso, di qualche anno di soppressioni e confische napoleoniche), ma ve ne sono altrove: dalle parti di Lucca, alla Farneta, poi ancora in Calabria, a Serra San Bruno, e naturalmente nella casa madre, in Francia, la Grande Chartreuse e in una ventina di monasteri sparsi per il mondo. Penseremmo che si siano rinchiusi nel chiostro per fuggire da occupazioni soverchianti, liti, faide, ragion di Stato o di parentela… e per giunta a quale prezzo? O a quale guadagno? Se ne può cogliere forse qualcosa dal silenzio “pieno” che ha impregnato quelle mura.
Fa una certa impressione pensare alla stirpe dei “sepolti vivi” nel mese di agosto, quando il mondo intero è fuga (e chi non fugge si sente sepolto a sua volta): evadere dalla città, dalla frenesia, dalla routine quotidiana è comprensibile… in fondo chiunque scappa appena può. Ma trovare il paradiso nella solitudine è una cosa apparentemente fuori dal mondo. Chi può va alle Maldive (o scegliete voi la destinazione preferita), chi non può va almeno nel luogo di balneazione o di villeggiatura più vicino. Ma la vera domanda è: cosa cerchiamo? Sappiamo da cosa stiamo fuggendo, ma non sempre sappiamo dove vogliamo andare. Talvolta incontriamo gente che torna dalle vacanze più scarica di quando era partita, al termine di una corsa a vedere questo e quello, persino più sfiancante del lavoro stesso.
Raramente però pensiamo che ci sia un legame tra un lavoro pressante e una vacanza sfiancante oppure, se vogliamo, a livello più quotidiano, tra una domenica noiosa e un lunedì depresso. Il filosofo tedesco Josef Pieper (1904-1997) diceva che soltanto un lavoro pieno di senso può conferire senso alla festa. E viceversa. Che in altre parole, bisogna scoprire quella che lui descrive come “essenza festiva” delle cose. Pieper ci spiega che la “vera” festa, ciò che comunemente definiamo come “una bella giornata”, più che nell’attivismo si situa al livello della contemplazione, dell’ammirazione.
Nella corsa della vita, che si sia diretti in vacanza o al lavoro, il paradosso certosino – «solitudo paradisus» – diventa una sorta di “guidare con prudenza”, un invito a fermarsi, tacere e assaporare ciò che viviamo e vediamo. Non è necessaria la cella monastica, anche dall’ombrellone o dall’autostrada o dall’ufficio si può gettare lo sguardo sul fondamento del mondo, per scoprirne l’originaria ed essenziale bontà che, malgrado il male presente, resta intatta e irrevocabile – anche se spesso nascosta dalle nubi più oscure.
Sabato, 20 luglio 2022