« Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno » (Mt 5,33-37).
Gesù sembra proibire il giuramento, perché vuole sottolineare che un uomo deve sempre essere sincero e dire la verità, anche se le sue parole non sono garantite da un giuramento. Dio, la fede, la religione non devono essere messe in mezzo per sostituire le virtù naturali di cui l’uomo sarebbe perfettamente capace, come la lealtà, la franchezza e la sincerità. Gesù denuncia come illusori i sistemi inventati dagli uomini del suo tempo per aggirare l’ostacolo. Anziché giurare su Dio, si giurava “per il cielo”, “per la terra”, “per Gerusalemme”, “per la testa”. Gesù evidenzia impietosamente che si tratta solo di mezzucci che rendono la pratica ancora più odiosa. Non pensiamo di essere esenti da queste parole di Gesù. Il cristiano non deve mai rifugiarsi all’ombra della fede per evitare di essere umanamente leale e franco. Il riferimento a Dio e alla fede risulterà tanto più efficace, quanto più sarà sincero e senza secondi fini. « Gesù insegna che ogni giuramento implica un riferimento a Dio e che la presenza di Dio e della sua verità deve essere onorata in ogni parola. La discrezione del ricorso a Dio nel parlare procede di pari passo con l’attenzione rispettosa per la sua presenza, testimoniata o schernita, in ogni nostra affermazione. Seguendo san Paolo [cfr. 2Cor 1,23; Gal 1,20], la Tradizione della Chiesa ha inteso che la parola di Gesù non si oppone al giuramento, allorché viene fatto per un motivo grave e giusto (per esempio davanti ad un tribunale). “Il giuramento, ossia l’invocazione di Dio a testimonianza della verità, non può essere prestato se non secondo verità, prudenza e giustizia” [Codice di Diritto Canonico, 1199, 1] » (Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2153-2154). Stiamo dunque molto attenti quando ci rifugiamo all’ombra della Parola di Dio, del Magistero della Chiesa o delle parole del Papa, affettando una smisurata obbedienza alla Chiesa e alla sua “sacra Tradizione”, quando non si perde un’occasione per criticare il Papa e i documenti del magistero o per comportarsi in modo contrario a quanto insegna il Vangelo. Il ricorso all’autorità divina va sempre fatto con verità, giustizia e precisione per non incorrere anche noi nella condanna di Gesù. Utilizzare la fede e la religione per i propri comodi o per promuovere un’ideologia inventata da noi è un grave sacrilegio.