« […] gioisca il cuore di chi cerca il Signore » (Sal 105/104, 3); « Il frutto dello Spirito […] è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé » (Gal 5,22). La gioia per un cristiano non è un evento qualunque, per quanto bello e desiderabile: è un dovere. Non è inutile però chiedersi il perché, senza dare nulla per scontato. Porsi certe domande non significa essere curiosi, vuol dire piuttosto prendere le cose di Dio sul serio. Anche Maria, che deve essere nostro modello in tutto, non rifugge dal fare domande. All’angelo che le annuncia la sua vocazione a madre del Messia, non teme di chiedere: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1,34).
Non è una domanda frutto di incredulità. Un po’ di incredulità c’era stata nel quesito di Zaccaria all’angelo che gli annunciava la maternità di Elisabetta: «Come potrò mai conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni» (v. 18). La stessa incredulità che aveva fatto ridere Sara, quando nella tenda aveva ascoltato i messaggeri di Dio che promettevano un figlio all’ormai vecchio Abramo: «Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!» (Gn 18,12). Nella domanda di Maria c’è invece una fede fortissima, incontaminata, che – proprio per questo – vuole capire. «Come avverrà questo?». Maria non solo accetta il piano di Dio, ma vi vuole partecipare con consapevolezza, con intelligenza e quindi con piena libertà. Non come oggetto trascinato, “usato”, ma come un’attrice che si immedesima nel proprio ruolo. Una volta trovata la risposta nell’intervento dello Spirito Santo – la «potenza dell’Altissimo» – accoglie con gioia la sua vocazione: «avvenga per me secondo la tua parola» (v. 38). Tutta la sua vita è all’insegna di questa ricerca, di come cioè lo Spirito di Dio conduce la sua vita e gli eventi che riguardano il Figlio suo: «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Questa dovrebbe essere anche la vita di ogni cristiana e di ogni cristiano: la ricerca di come il santo Spirito di Dio conduce gli eventi – i piccoli e i grandi – per assecondare in tutto la sua azione. È attraverso la sua azione che Gesù si afferma nella nostra vita, nella società, nella storia. Partendo dal nostro cuore… Il famoso (sarei tentato di dire il “famigerato”) esame di coscienza dovrebbe essere innanzitutto e soprattutto questo. Non è infatti ciò che entra nell’uomo quello che lo avvelena, ma «ciò che … proviene dal cuore» (Mt 15,18). Questo è importante e tutt’altro che facoltativo, perché solo chi sa di essere condotto dallo Spirito si avventura con Gesù fino ai piedi della Croce «E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (Mt 11,6). Allora l’attesa della Resurrezione sarà piena di speranza, perché chi ha già sperimentato in sé la potenza dello Spirito non può dubitare della sua vittoria sulla morte. Chi conosce gli Esercizi di sant’Ignazio sa che a un certo punto si è invitati a contemplare un evento che i Vangeli non raccontano esplicitamente: l’apparizione di Gesù risorto a Maria. «Il Signore, dopo essere risuscitato, apparve a sua Madre. La Scrittura infatti dice che apparve a molti. Sebbene non la nomini espressamente, ce lo lascia facilmente capire se abbiamo intelletto» (Esercizi Spirituali, n. 299). «Risuscitando, apparve vivo prima di tutti alla beata Vergine sua Madre. Il che si deve credere perché a ciò spinge la devozione ed è verosimile» (Ibid., n. 219). Se si impara a riconoscere lo Spirito che opera in noi non si può dubitare della sua potenza e quindi della Risurrezione! E Maria conosceva bene lo Spirito e sempre lo aveva intimamente seguito. San Luigi di Montfort attribuisce infatti a lei questo bel titolo: sposa dello Spirito Santo. Esso – ben compreso – esprime bene questa unione profonda che, a partire dall’annuncio dell’angelo, ha segnato in profondità la sua vita, segno di un mistero celeste e di un disegno nascosto dall’eternità nella mente di Dio. Così sant’Ignazio ci dà una preziosa indicazione per trovare la risposta alla nostra domanda iniziale: “perché la gioia”? Domanda tutt’altro che sterile e accademica. Che senso ha infatti una vita senza gioia? La gioia cristiana nasce dalla partecipazione ad un incontro, l’incontro di Maria con Gesù e – in quell’incontro – a quello di tutti i santi, di tutta quanta la Chiesa, con il Risorto, incontro che la rende bella come «una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,2). Di questo abbraccio e in questo abbraccio siamo chiamati a gioire anche noi, accogliendo la grazia di «partecipare all’immensa gioia di Cristo e di sua madre» (Esercizi spirituali, n. 221). Colei che sempre ha creduto, e che nella sua fede ha già sperimentato la certezza delle promesse (Lc 1,45), non poteva non essere la prima nel fare esperienza che «Chiunque crede in lui non sarà deluso» (Rm 10,11). La sua fede che cammina attraverso la Croce verso la gioia della Risurrezione è il modello e il sostegno della nostra fede. Lei ci precede sicura nella fede e nella gioia. Di quale gioia si tratta però, se essa è possibile anche in mezzo al dolore? Di quella gioia misteriosa, profonda e nascosta che c’è anche quando non la sentiamo, come il sole al di là delle nubi. Per coglierla bisogna lasciarci trasportare dall’Amore al di là dei nostri propri sentimenti, vincendo quel soggettivismo così diffuso che ha le sue radici nel nostro egoismo.