« Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato » (Mt 10,17-22)
Oggi vi propongo una “collana” (charizah) di versetti biblici. I rabbini componevano delle collane di questo tipo, in cui versetti della Bibbia, spesso lontani per epoca, autore e situazione venivano collegati tra di loro, rivelando così un senso nuovo, nascosto, profondo. «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26); «Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me» (Mt 10,37); «Allora Gesù disse ai suoi discepoli: Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà » (Mt 16,24-25); «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia» (Mt 5,11); «Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani» (Mt 10,17-18); « Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me » (Gv 15,18). Insisto con le collane… perché vorrei tanto che vi innamoraste della Bibbia, del Libro Santo, e quello di collegare versetti tra di loro, di fare “collane” è il mezzo migliore per entrare nel suo mistero di “unico” Libro. Vi consiglio di procurarvi una matita (l’ideale è un portamine da 0,5) e di segnare a margine, accanto ai versetti, i versetti che voi avete collegato. Voi mi direte: ma ci sono delle Bibbie che hanno già i riferimenti a margine… Esistono delle ottime concordanze: lì il lavoro è già fatto. Appunto lì è già fatto, mentre è importante che lo facciamo noi. Questa ricerca è preghiera e nessuno può pregare al nostro posto. Può intercedere… ma non è la stessa cosa. Uno può andare dal medico per un problema di mancanza di appetito. Il medico gli darà dei medicinali adatti… ma non ha senso dirgli: mangi lei per me! Ma torniamo alla nostra collana. Se c’è una cosa che colpisce nei racconti evangelici è la richiesta avanzata da Gesù di essere amato. Se riflettiamo attentamente sui termini di questo amore, non solo colpisce, ma stupisce e sconcerta. L’amore preteso da Gesù appare – da un punto di vista strettamente umano – veramente “esagerato”. «Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me» (Mt 10,37). Gesù prende come termine di paragone gli affetti più forti, quelli naturalmente più radicati e pretende senza mezzi termini che vengano trascesi, superati. Ne fa una questione di vita o di morte: se non lo si ama così non si è degni di lui! Le conclusioni delle lettere di Paolo spesso sfuggono. Giunti in fondo alla lettera, si sorvola sulle formule conclusive, che hanno l’aria di essere delle innocue aggiunte di pura cortesia. Così tralasciamo però dei dettagli importanti. Per esempio, a conclusione della prima lettera ai Corinti, troviamo questa espressione veramente molto forte: «Se qualcuno non ama il Signore, sia anàtema!» (1Cor 16,11). Amare il Signore Gesù allora non è un ornamento, un’aggiunta “sentimentale” al contenuto ideale veramente importante: è qualcosa che si situa al centro della nostra fede. Gli uomini in genere si accontentano di essere amati da quei pochi che appartengono alla loro cerchia e che sono loro contemporanei. Degli estranei, che non sono parenti o comunque a loro in qualche modo legati – per non parlare di tutti gli uomini passati, presenti e futuri – non importa in genere un gran che. Non gli interessa di essere amati da loro. All’uomo interessa certamente l’amore – si può anzi dire che è la cosa che per lui vale di più, che lo voglia ammettere o no – ma gli interessa l’amore delle persone che… gli interessano. Gesù vuole l’amore di tutti: «E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32); «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Gv 15,9). Lo pone come condizione per seguirlo e lo intende come un dono radicale della propria vita: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua » (Mt 16,24). Questo amore che Gesù innanzitutto dona – mediante la Croce e la Resurrezione – e poi chiede, è totale. È evidentemente divino: appare anzi come ciò in cui e attraverso, cui rifulge la sua identità divina. Non possiamo non sentire nelle parole di Gesù l’eco delle formule solenni dello Shemà (Ascolta!): «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte» (Dt 6,4-9). In questa luce non ci stupiamo più che un san Paolo abbia concluso in modo così drastico la sua lettera, che san Francesco sentisse fisicamente la dolcezza sulle labbra ogni volta che pronunciava il nome di Gesù, che a un san Filippo Neri l’amore di Cristo abbia invaso così prepotentemente il cuore da rompergli due costole… Non ci possiamo neppure stupire che ad un tale amore corrisponda presso gli uomini malvagi un odio altrettanto “esagerato” e assolutamente immotivato per Gesù e la sua Chiesa. Una vera e propria Cristofobia… Al fatale rischio di questo odio, chi ama veramente il Signore, si sottopone coraggiosamente: è la vicenda dei martiri e dei perseguitati di ieri e di oggi, di cui santo Stefano “protomartire”, che celebriamo oggi, è il primo esempio.