« Vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all’altra riva. Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: “Maestro, ti seguirò dovunque tu vada”. Gli rispose Gesù: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. E un altro dei suoi discepoli gli disse: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. Ma Gesù gli rispose: “Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti” » (Mt 8,18-22).
Il vangelo di Matteo prende accuratamente nota di tutti gli atteggiamenti – maliziosamente critici oppure aperti, quando non decisamente positivi nei confronti di Gesù – degli esperti della Legge, cioè degli scribi. Qui abbiamo due scribi che vogliono mettersi al seguito del Signore. Uno lo chiama “Maestro”, un termine usato da quelli che si trovano all’esterno della cerchia dei discepoli (Mt 9,11; 12,38;19,16; 22,16.24.36), l’altro invece lo chiama “Signore”, espressione che potrebbe trovarsi sulla bocca di un discepolo.
Al primo Gesù ricorda che il seguirlo non si può ridurre solo ad ascoltare con interesse una dottrina, ma comporta una vera e propria conversione. Cioè un radicale cambiamento di stile di vita. All’altro che la sua sequela deve essere una scelta definitiva. L’espressione « permettimi di andare prima a seppellire mio padre » è stata spesso fraintesa, come se si riferisse alla morte attuale del padre e del dovere di celebrargli i funerali.
Che questa non sia l’interpretazione esatta lo si può dedurre da un fatto molto semplice: se il genitore fosse morto in quel momento lo scriba non avrebbe avuto assolutamente il tempo di seguire Gesù anche per ascoltarlo solo per qualche ora, ma sarebbe stato tutto assorbito dalla preparazione dei funerali. Una conoscenza un po’ più approfondita degli usi e costumi dei popoli del medio oriente lo mette in luce chiarissima.
L’espressione “seppellire mio padre” è un termine idiomatico che indica ‘occuparsi delle faccende di famiglia fino alla morte del padre’. Gesù rispondendo « seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti » indica con chiarezza che mettersi al suo seguito significa cambiare radicalmente direzione di vita. Ciò che soprattutto conta per il suo discepolo non sono gli affari di quaggiù (la “famiglia” intesa come la propria gente, il proprio prestigio in società, il peso sociale, ecc.) ma una vita nuova. Rispetto alla vita nuova, la vita di quaggiù non è vita vera e chi si preoccupa soprattutto di questa vita non definitiva è come un “morto” (νεκρός – senza vita, cadavere).
Seguire Gesù non vuol dire solo condividere le sue “idee”, ma rinunciare ad avere quaggiù una casa, una patria, una “famiglia” per incominciare a vivere, quaggiù, una vita che appartiene ad un altro mondo. Una vita divina, eterna. Il vero discepolo è un pellegrino. « […] non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura » (Eb 13,14). « […] siete concittadini dei santi e familiari di Dio » (Ef 2,19).
Il Santo del giorno: Sant’Aronne, fratello di Mosè