« Entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: “Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente”. Gli disse: “Verrò e lo guarirò”. Ma il centurione rispose: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa”. Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: “In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli » (Mt 8,5-11).
Gesù torna alla sua casa base in Cafarnao. Proviamo ad immaginare lo stupore della gente nel vedere un ufficiale romano, un capo delle odiate truppe di occupazione, avvicinarsi a Gesù per chiedere aiuto (« lo scongiurava »). L’idea di un maestro ebreo che entra nella casa di un pagano – e di un romano per giunta! – era quanto di più scandaloso si potesse immaginare (cfr. At 10,28).
Se però la fede del lebbroso era apparsa grande, perché si era avvicinato con fiducia e aveva dichiarato che il Maestro aveva il potere di guarirlo, qui ci troviamo davanti ad una fede ancora più grande, perché il centurione dice: « Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito ».
Le parole del centurione sono entrate nella liturgia come le parole da pronunciarsi prima di ricevere la comunione.Come il centurione anche noi ci riconosciamo indegni di ospitarlo nella nostra casa e, come il centurione, convinti che Lui potrebbe guarirci anche a distanza, accogliamo con stupore il dono assolutamente immeritato che invece ci fa della sua presenza dentro di noi.