« Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera. C’è un altro che dà testimonianza di me, e so che la testimonianza che egli dà di me è vera. Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce. Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita. Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma vi conosco: non avete in voi l’amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio? Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole? » (Gv 5,31-47).
Gesù affronta il tema centrale delle testimonianze sulla sua propria identità.
Esse sono: a) Giovanni il Battista, b) le sue proprie opere, c) il Padre, d) le Scritture. Innanzitutto elimina come inadeguata secondo la legge la sua propria testimonianza: « […] nessuno deve essere creduto quando parla in proprio favore. […]. […] Nessuno può portare testimonianza in suo proprio favore » (Mishna, ordine 3° Nashim, trattato Ketubbot, capitolo 2, paragrafo 9); « Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera ».
C’è però qualcun altro, diverso da lui, che ha portato testimonianza su di lui: è Giovanni Battista. A lui le autorità giudaiche hanno mandato degli emissari per interrogarlo e lui ha risposto testimoniando che Gesù è « l’agnello di Dio » (Gv 1,29), « il figlio di Dio » (Gv 1,34) unto mediante lo Spirito Santo. Giovanni, pur non essendo la luce poteva « dare testimonianza alla luce » (Gv 1,8) ed essere « la lampada che arde e risplende ».
Pur non volendo ricevere testimonianza da un uomo, Gesù cita Giovanni in testimonio per la loro salvezza, perché – pur non avendo accolto la sua testimonianza – anche « solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce » e potete dunque ricordarvene. C’è però una testimonianza ben più grande, quella delle sue opere.
I miracoli sono in realtà opere del Padre creatore e datore di vita. Considerandoli con attenzione si poteva con un solo sguardo vedere le opere del Padre compiute dal suo Figlio. Ma la testimonianza suprema è quella del Padre stesso. Estremamente misteriosa ma – nello stesso tempo – eloquente e potente.
« Il Signore vi parlò dal fuoco; voi udivate il suono delle parole ma non vedevate alcuna figura: vi era soltanto una voce » (Dt 4,12). Gesù, con tutta quanta la sua persona, è infatti la suprema Teofania. È la voce del Padre fatta uomo.
Il Santo del giorno: San Baronzio e Desiderio, monaci eremiti