« Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: “Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?”. Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: “Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me”. Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù » (Gv 12,1-11).
Le Chiese, i campanili, i conventi e i monasteri del nostro mondo di antica civiltà cristiana sono sempre stati dei segni che hanno nutrito la speranza del cielo tra i più miseri e – contemporaneamente – dei centri irradiatori di carità concreta nei confronti di questi stessi miseri.
Oggi i segni possono sparire. Sia sparire del tutto (chiese distrutte o trasformate in cinema o teatri) oppure essere segni “spezzati”, cioè che non significano più nulla perché frequentati da increduli; sono ridotti ormai a pezzi da museo, oggetto di un mero interesse estetizzante. Ma se il segno concreto della presenza di Gesù sparisce o si “spezza” l’ambiente diventa vuoto e ostile.
È molto bello a questo proposito il mito di una tribù di australiani nomadi, una tribù dall’economia primordiale, ancora allo stadio della coglitura e della piccola caccia. Il mito è riportato da Mircea Eliade (1907-1986): gli Achilpa (così si chiama questa tribù) portano sempre con sé un palo sacro, attorno al quale si raccolgono nei loro frequenti spostamenti, solo se il palo sta al centro l’ambiente diventa ordinato e abitabile; il mito racconta che un giorno, « essendosi il palo spezzato, l’intera tribù fu in preda all’angoscia; i membri vagabondarono per qualche tempo, e alla fine sedettero per terra e si lasciarono morire » (Il sacro e il profano, Boringhieri, Torino 1967, p. 34).
Preghiamo perché i cristiani ritrovino il coraggio di esserlo e di non vergognarsi più dei segni della loro fede, anzi, di costruirne coraggiosamente di nuovi e – con la grazia di Dio – di ancora più belli. L’epidemia del coronavirus è una occasione permessa da Dio per cercare e trovare i segni della sua presenza in mezzo a noi.
Il Santo del giorno: San Pietro da Verona, martire