« [Imparate[ a stare a ciò che è scritto, e non vi gonfiate d’orgoglio favorendo uno a scapito di un altro. Chi dunque ti dà questo privilegio? Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto? Voi siete già sazi, siete già diventati ricchi; senza di noi, siete già diventati re. Magari foste diventati re! Così anche noi potremmo regnare con voi. Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo dati in spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo percossi, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi. Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo » (1Cor 4,6b-15).
Un dono tale deve rimanere, arricchito però della nostra libertà se noi, a nostra volta, lo doniamo. Sant’Ignazio di Loyola aveva ben compreso che nella nostra libertà sta quello che abbiamo di più “nostro”. È anch’essa un dono, ma un dono vero e reale, non un’illusione.
Dio ci ha fatto il dono di essere liberi. Se allora noi – liberamente! – facciamo a Dio il dono della nostra libertà, per quanto piccola, fragile e condizionata essa sia, gli doniamo tutto. Non qualcosa di superfluo, ma proprio tutto.
Così facendo rimaniamo nella logica del dono che noi stessi siamo, nella logica della “grazia” e dell’amore. «Accetta, Signore, tutta la mia libertà. Prendi la mia memoria, il mio intelletto e tutta la mia volontà. Tutto quello che ho e che possiedo tu me lo hai dato: a te tutto io rendo.
È tutto tuo, fanne quello che vuoi. Dammi solo l’amore di te e la tua grazia, perché questa mi basta» (Esercizi Spirituali, n. 234). Così facendo viviamo concretamente l’insegnamento che Gesù ci ha trasmesso lodando il gesto della povera vedova; i nostri due soldini, gettati nel tesoro della volontà di Dio, pur tintinnando poveramente, possono fare un rumore immenso!
Se io ho donato la mia libertà, cerco sempre in tutte le cose solo l’amore di Gesù. Le mie cose Gesù mi chiede di “darle”, cioè di usarle sempre e solo per amor suo. Che cosa vuol dire essere distaccati dalle ricchezze (molte o poche non ha assolutamente importanza)? Vuol dire conservare nei loro confronti la santa e divina libertà di usarle sempre e solo per Amore di Dio.
IL SANTO DEL GIORNO: SANTA MADRE TERESA DI CALCUTTA