« Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: “In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi””. E il Signore soggiunse: “Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” » (Lc 18,1-8).
Quello che il Signore ci vuole insegnare è far sì che tutto quello che faccio diventi preghiera. Come in un rapporto di amore: due persone che si amano si amano sempre, qualunque cosa facciano. Però l’amore sussiste ed esiste solo se conosce momenti di intimità in cui l’uno è per l’altro e solo l’altro esiste per te in quei momenti. In particolare il lavoro è spesso difficile da coniugare con la preghiera, come la sofferenza…
La Bibbia non dice forse che il lavoro è una maledizione? Certamente se non ci fosse stato il peccato non vi sarebbero state la sofferenza e la morte, perché queste non erano nel progetto originario di Dio. Ma, appunto, ciò che il peccato ha prodotto nella vita dell’uomo sono la sofferenza e la morte e non il lavoro come tale. Anche Eva – a causa del peccato – deve partorire con dolore (v. 16).
Ma il peccato causa il dolore non il parto, che è invece solo una benedizione di Dio! In un rapporto di amicizia e di amore ciò che conta non è tanto il dono in sé, quanto il cuore che questo dono rivela. Il dono può essere misero, ma il cuore grande. Come gli spiccioli della vedova. Il dono può avere una apparenza insignificante, come un bambino che porge alla mamma una caramella (quella caramella che la madre stessa gli aveva dato poco prima…).
Ma il cuore del piccino è grande in questo gesto e la madre si intenerisce. Che cosa può “fare” un malato, un paralizzato, uno inchiodato su una sedia a rotelle? Niente per il mondo, almeno apparentemente. Ma per Dio – e quindi anche per il mondo – può fare la cosa più importante: donare. Donare quello che ha, cioè la sua vita sofferente. Cioè amare come ha fatto Gesù sulla croce.
Ecco il senso del lavoro cristiano: un atto di amore. Come tale, per essere autentico, deve anche essere ben fatto. Appunto – come si dice – fatto “con amore”.
Il Santo del giorno: San Lorenzo O’Toole Arcivescovo di Dublino