In quel tempo, Gesù riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti». (Mt 22,1-14)
Il vangelo di Luca è più dettagliato riguardo alle motivazioni del rifiuto all’invito: “Il primo disse: Ho comperato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire” (Lc 14, 18-20). Questi tre personaggi hanno in comune: “l’essere presi da qualcosa di urgente da fare e che reclama la loro presenza”. Il banchetto nuziale rappresenta i beni messianici e la partecipazione alla salvezza recata da Cristo, quindi la possibilità di vivere in eterno. Cioè rappresenta l’unica cosa importante nella vita. Tutti tralasciano “l’importante” per “l’urgente”. È un rischio assai diffuso e sempre insidioso. Se è domenica e bisogna presenziare alla Messa, c’è sempre quel lavoro da fare, il giardino da sistemare e poi la cucina. La Messa può attendere, il pranzo no. Anche verso la preghiera, le cose urgenti o supposte tali, fioccano dal cielo. Tutti conosciamo la parabola di Maria e Marta. Quest’ultima si affannava tra mille faccende per accogliere un santo ospite. Ma finisce nell’agitazione e nell’affanno e raccoglie poco frutto dai suoi sforzi. Anzi tutto serve stare vicino a Dio e al suo Regno, il resto viene in sovrappiù e anche le tue mani operaie vengono benedette.
Nella vita si può fallire in mille modi: nel lavoro, in famiglia, nella vita sociale. Vi sono stati santi che nella vita furono emeriti falliti, eppure hanno vinto la buona battaglia della vita eterna. Non così quando si perde Dio. Qui il fallimento è radicale e senza appello. È un fallire lo scopo stesso per cui si è al mondo. Tanti mariti, padri di famiglia finiscono con l’essere grandi assenti, mai giocano con i bimbi, perché presi dal lavoro straordinario e dall’imprevisto da sbrigare in ufficio. Si rimanda ad un’altra volta, finendo per tornare sempre troppo tardi e affaticati. Qui sta l’insidia: si passa la vita a rincorrere mille piccole faccende da sbrigare e non si trova mai il tempo per le cose che incidono davvero sui rapporti umani e possono fare la vera gioia nella vita.
Santa Teresa di Gesù (d’Avila) Vergine e Dottore della Chiesa