In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». (Gv 6,37-40)
La morte genera in noi una invincibile repulsione. Il motivo è che essa non è “naturale”. È qualcosa di estraneo alla nostra natura, frutto dell’ “invidia del diavolo”. Per questa lottiamo contro di essa con tutte le forze. Siamo fatti per la vita. Purtroppo noi esseri umani abbiamo scelto di rimuovere il pensiero della morte. Di far finta che non esista, o che esiste solo per gli altri. Eppure la morte è il “verme al centro di ogni pensiero”. Non si lascia accantonare. Reprimerlo stanca terribilmente! È come tentare di abbassare un coperchio che tende sempre a rialzarsi. È la triste posa dell’uomo secolarizzato! È utile riflettere sulla morte. Serve anzitutto preparaci a morire bene. L’albero, dalla parte verso cui pende, da quella, una volta reciso cadrà. Ma serve ancor più a vivere bene, con calma e saggezza.
“Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” (Sal 89, 12). Non c’è punto migliore in cui collocarsi per vedere il mondo, se stessi e tutti gli avvenimenti nella loro verità che quello della morte. Tutti gli idealismi si ridimensionano. Non si cade nella rassegnazione e nell’inattività; al contrario, si fanno più cose e si fanno meglio, perché si è più calmi, più distaccati. Sempre ciò avviene con grande profitto, osservando la tomba vuota di Gesù Cristo.